I preti diminuiscono. Forse sta nascendo una nuova Chiesa

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Tra poco, nove nove preti verranno ordinati nel duomo di Bergamo.
Le raccomandazioni di Papa Francesco ai preti.
Il clericalismo sta definitivamente finendo

Nelle prossime settimane in Duomo verranno ordinati nove nuovi sacerdoti. Immagino grandi feste nelle comunità dove questi giovani sono nati e cresciuti e grande soddisfazione di una Chiesa, la nostra di Bergamo, che  almeno per quest’anno ritrova numeri di ordinati da tempo smarriti. Di questo e di molto altro bisogna ringraziare il Signore.

Papa Francesco: “abbiate lo stile della vicinanza che è lo stile di Dio”

L’augurio ai novelli sacerdoti lo rivolgo con le parole che papa Francesco, nell’aprile di due anni fa, fece a nove giovani che ha ordinato nella Basilica di San Pietro:  

Abbiate lo stile di vicinanza che è lo stile di Dio. Ma lo stile di Dio è anche uno stile di compassione e di tenerezza. Non chiudere il cuore ai problemi. E ne vedrete tanti! Quando la gente viene a dirvi i problemi e per essere accompagnata… Perdete tempo ascoltando e consolando. La compassione, che ti porta al perdono, alla misericordia. Per favore: siate misericordiosi, siate perdonatori. Perché Dio perdona tutto, non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.

Vicinanza e compassione. Ma compassione tenera, con quella tenerezza di famiglia, di fratelli, di padre… con quella tenerezza che ti fa sentire che stai nella casa di Dio. Vi auguro questo stile, questo stile che è lo stile di Dio. E poi, vi accennavo qualcosa in Sagrestia, ma vorrei accennarla qui davanti al popolo di Dio. Per favore, allontanatevi dalla vanità, dall’orgoglio dei soldi. Il diavolo entra “dalle tasche”. Pensate questo.

Siate poveri, come povero è il santo popolo fedele di Dio. Poveri che amano i poveri. Non siate arrampicatori. La “carriera ecclesiastica”… Poi diventi funzionario, e quando un sacerdote inizia a fare l’imprenditore della parrocchia perde quella vicinanza al popolo, perde quella povertà che lo rende simile a Cristo povero e crocifisso, e diventa l’imprenditore, il sacerdote imprenditore e non il servitore. Siate vicini al santo popolo fedele di Dio. Ma prima di tutto vicini a Dio, con la preghiera. Un sacerdote che non prega lentamente spegne il fuoco dello Spirito dentro. Vicinanza a Dio.

Una crisi di numeri inarrestabile

Dopo la festa, il conto. Occorre, cioè, guardare dentro i numeri. Per evitare illusioni e cominciare a sperimentare quello che, inevitabilmente, saremo costretti a fare tra non molto. Che piaccia o meno. I numeri restituiscono, brutalmente, anche nella nostra diocesi un dato: la continua, progressiva – e, a prima vista, inarrestabile –  diminuzione dei preti. 

I preti diminuscono continuamente. I “curati” sono una razza in via di estinzione

Anno dopo anno, nonostante alcune eccezioni, il numero degli ordinati diminuisce.  Un saldo negativo sempre più pesante. Tra i sacerdoti che muoiono e quelli che abbandonano (e non sono pochi nell’ultimo decennio) sono sempre meno e si alza la loro età media. Un numero ogni anno più grande di parrocchie non vede più la presenza del curato.  

Secondo i dati della CEI dello scorso anno i sacerdoti italiani sono 31.793, con una riduzione di 6.416 in trent’anni (il 16,5% in meno rispetto agli anni post guerra), con una diminuzione dell’11% solamente negli ultimi dieci anni.

Catastrofe? No, un parto

Una situazione di questa genere è vista da molti come una catastrofe, una rovina. Ho più volte scritto che a me piace immaginarla, invece, con un’altra immagine: quella del parto. Si sono rotte le acque, la disgregazione del precedente equilibrio è in funzione di uno nuovo. Ciò che sta accadendo nelle chiese d’occidente non è la fine del mondo ma la fine di un certo mondo e l’inizio di un mondo nuovo. Non è la fine del cristianesimo ma di un certo cristianesimo. E se uno ha gli occhi della fede può cominciare a intravedere i germi di un ricominciamento.  

Il prete uomo dell’unità. E tutto il resto va lasciato agli altri che lo sanno fare meglio di lui

Mi chiedo infatti se la cosiddetta crisi vocazionale sia piuttosto un segno dei tempi con cui Dio vuole parlare ad una chiesa distratta per costringerla a prendere decisioni inedite ma epocali, adeguate alle esigenze del presente per rispondere in tempo all’anelito di Dio che sale dalle viscere del mondo. 

Quante volte lo diciamo: finché le parrocchie resteranno centrate sul clericalismo, nessuna pastorale smuoverà l’immobilismo in cui ci si trova. È necessario che il prete bergamasco, figlio di una storia generosa e straordinaria, impari una buona volta a non assommare in sé tutti i ruoli funzionali: leader, liturgo, economo, organizzatore, animatore ecc., ma riservi a sé il servizio dell’unità, della preghiera e della Parola, lasciando tutto il resto a chi può e sa farlo meglio di lui. 

Non è forse giunto il momento di cominciare a mettere in pratica tutto questo?

1 Comment

  1. Lucio Dassiè ha detto:

    Sono molto d’accordo con questa lettura della contemporaneità. E’ una lettura che sottende, a mio parere, la consapevolezza di essere, prima delle nostre preoccupazioni e sopra le nostre determinazioni, nelle mani di Dio Padre. Il Padre che, nel rispetto della nostra libertà, orienta sovranamente a sé la storia fino a che “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). Io, audacemente, mi permetto però di allargare ulteriormente la riflessione. Ma la Parrocchia, con la sua storia meritoria ma anche antica perchè scaturita dalla necessità della Controriforma di “tenere a sé” i fedeli insidiati dal Protestantesimo, è adeguata a questa contemporaneità? Esprime l’essere Chiesa in uscita verso le povertà spirituali e materiali del nostro occidente, oppure anch’essa scricchiola nell’essere rivolta principalmente su se stessa e dunque talvolta auto referenziale? Non dobbiamo anche qui essere ispirati a nuove forme comunitarie di testimonianza?

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