
Ho letto l’articolo sul caso della copertura dei mosaici di Rupnik dalla facciata della basilica di Lourdes e, forse, in un non lontano futuro della loro rimozione.
L’articolo pone giustamente il tema dell’opera d’arte nella sua oggettiva bellezza e dell’artista nella sua fragile soggettività. Si richiamano giustamente casi di artisti notoriamente malviventi, autori di opere di sublime e indiscussa bellezza e, almeno per Caravaggio, di alta spiritualità.
Tuttavia, leggendo il comunicato 31 marzo diffuso dall’Avv. Laura Sgrò, che rappresenta anche alcune delle suore che hanno subito gravissimi abusi da parte di Rupnik, mi pare importante sottolineare alcuni ulteriori elementi di riflessione.
Il comunicato, dopo avere espresso gioia per la decisione del vescovo di Lourdes anzi auspicando che altri lo seguano su tale strada, afferma decisamente che non è possibile in questo caso scindere l’arte, i mosaici, dagli abusi in quanto:
é proprio durante la realizzazione delle opere e con riferimento alle stesse … che Rupnik ha abusato di alcune delle vittime. Ogni fedele – e non solo ogni vittima di abuso – deve avere il cuore libero nel momento in cui si accosta alla preghiera e ciò non può avvenire se deve inginocchiarsi davanti a un’opera che probabilmente è stata il luogo dove si è consumato un abuso.»
Chiunque abbia letto, anche solo per riassunto riportato dai giornali, i raccapriccianti racconti delle suore abusate, non può non rimanere colpito da questa argomentazione.
Qui non è solo in discussione la moralità dell’artista che in teoria si potrebbe assumere slegata dall’opera d’arte, ma della finalità stessa di un’opera d’arte posta sulla facciata di una chiesa che, proprio per l’uso liturgico a cui è destinata, deve assicurare ad ogni fedele che vi si accosti “un cuore libero”.