Un segnale inquietante: gli imbrattatori di opere d’arte

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E’ diventata quasi una moda.
L’arte utile per protestare.
Ma la strana moda dice anche molto altro.

 Avevano iniziato il 29 maggio al Louvre di Parigi. Alcuni giovani attivisti, al grido di “Salviamo il Pianeta”, avevano lanciato una torta sulla Gioconda di Leonardo da Vinci. Niente meno. Poi, nelle ultime settimane, la moda ha dilagato: Monet, Van Gogh, Constable, Boccioni, Vermeer, Goya: quadri, sculture, opere straordinarie d’inestimabile valore colpite dagli attivisti per il clima e per la difesa dell’ambiente. Le notizie riferiscono di alcuni gruppi: Just Stop OilExtinction Rebellion e la sua “divisione” italiana Ultima generazione. Si precisa che si tratta di un “movimento trasversale, europeo, fatto di paladini schierati per l’ambientalismo e l’ecologia”.

Anche questa è una moda e anche stavolta si imita

Il fenomeno genera, per usare un’immagine evangelica “stridore di denti”. Nel senso che confliggono pesantemente il motivo della protesta – il degrado irreversibile dell’ambiente che tocca drammaticamente tutti – con il modo scelto: imbrattare opere d’arte. E non opere qualsiasi, ma quadri o opere d’arte famose, famose al punto che il gesto fa fragorosamente notizia. 

Intanto va notato che, in tutta probabilità, i contestatori di Londra, di Glasgow, di Manchester, di Firenze, di Milano, di Firenze, di Padova… non si sono coordinati fra di loro. Hanno agito separatamente. Ma, anche se distanti e scoordinati, hanno però fatto la stessa cosa. La protesta contro il mondo intero e dintorni obbedisce rigorosamente alle leggi ferree della imitazione. Per protestare contro una moda si mette in atto un’alternativa che è, essa pure, una moda. Lo si sapeva: l’uomo è un animale che imita. Che imita sempre, anche quando contesta una imitazione. 

Perché l’imitazione alternativa funzioni si deve sapere che c’è. Per questo si prende di mira non l’acquarello mediocre dipinto da un amico qualche decennio fa e che si trova in un angolo di casa mia, ma i girasoli di van Gogh. Per l’acquarello di casa mia mi sarei – forse – incavolato io (forse perché non si tratta di un gran capolavoro), per van Gogh, invece, si è incavolato forse il mondo intero.

L’arte degradata a strumento utile

 “Forse” anche qui perché qualcuno ha applaudito a quelle estemporanee iniziative giovanili. La maggior parte dei commentatori, invece, hanno preso le distanze. Per molti motivi, ma soprattutto per uno: l’arte grande presa di mira è stata usata per far passare un messaggio che non ha (quasi) nulla a che fare con l’arte. Diciamo che è stata usata: questo è il punto. Mentre l’arte è bella perché è bella, qui è bella solo perché serve per dire che l’ambiente sta deteriorandosi. 

Abbiamo a che fare, dunque, con un drammatico smarrimento del senso del bello. Il bello usato solo per essere efficaci non è più bello, infatti. Ora, usare in maniera impropria il bello può significare, più a fondo, che la società ha smarrito i suoi punti di riferimento. Il bello profanato può segnalare la profanazione dell’umanità e dei suoi valori. 

Ci si può consolare soltanto affermando che i contestatori inglesi, spagnoli, italiani… sono tutto sommato pochi. Ma i gesti profetici di pochi dicono spesso il sentire nascosto e inespresso di molti. La salsa di pomodoro sui girasoli di Van Gogh ci costringe, in ogni caso a porci, con coraggio, qualche impegnativa domanda. E a chiederci se anche questo non sia il segno di una incipiente barbarie.

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