Tempo d’esodo

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“In tempo d’esodo” è il titolo di un libro che Ivo Lizzola ha dato alle stampe da poco. Il sottotitolo è “una pedagogia in cammino verso nuovi incontri intergenerazionali”. Pubblichiamo, in questo articolo e in altri che succederanno, alcuni passaggi, utili, crediamo, come anticipo della lettura del libro

Nel XII secolo Ugo da San Vittore, in un testo che è  una vera scheggia utopica, scrive: “l’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già uomo forte; ma solo perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero”. E la citazione è stata ripresa dal bulgaro Tzvetan Todorov[1] che vive in Francia e l’aveva ricevuta dal palestinese Edward Saïd che lavorava negli U.S.A., che l’aveva trovata in Erich Auberbach, tedesco esule in Turchia.

Tempo di rischioso passaggio. E di svelamento

Il tempo che s’è avviato almeno da una generazione ha i tratti antichi di un tempo d’esodo, tempo di rischioso passaggio. Ma, insieme, è tempo che ha tratti assolutamente inediti di rottura e disvelamento. Anzitutto l’esodo riguarda non un popolo ma tutta l’umanità, mentre vive duri e profondi conflitti, relazioni difficili tra le diversità che porta ravvicinate al suo interno, peso delle memorie ferite e fatica pesante di fraternità impossibili. Inoltre la terra promessa è la sfida a tener salvaguardata e viva la promessa della terra, cioè del dono di un pianeta, di un mondo ricevuto e da “consegnare” alla vita nascente. Promessa di potere “mettere al mondo”, di “dare alla vita”, come diciamo.

L’esodo è quello di una umanità mai così potente e del destino comune, intrecciato e interconnesso a quello della vita e del pianeta. L’esodo avviene sotto il segno del disorientamento, dell’incertezza, del timore, in anni segnati dalla crisi economica, dalla pandemia, dalla violenza del terrorismo e della guerra. Anni di fatica e di timore della relazione con l’altro, con il diverso. 

L’esodo avviene sotto il segno del disorientamento, dell’incertezza, del timore

La riflessione attorno all’alterità ed all’umano che ci è comune, ripresa con forza in questi anni, è una prima risposta a questo scoprire, e insieme scoprirci, stranieri tra noi. Per provare a dare sfondo simbolico e corpo, pensiero e tessuto di pratiche ad una “convivenza tra stranieri”, occorrerà riprendere e riscoprire il riferimento alla fraternità. La diversità è un’esperienza che ci attraversa. 

Tutto questo sfida il nostro rapporto con il tempo: il futuro desiderabile per noi e i figli dei figli; il passato delle consegne e delle speranze dei padri. La diversità è un’esperienza che ci attraversa mostrando aperta e molteplice la nostra identità, e svelandola incerta tanto più quanto la vogliamo chiudere nell’unità, nella compiutezza d’una tradizione.

Ma anche sotto il segno della meraviglia

Ma l’esodo, questo tempo d’esodo profondo e nuovo, decisivo per noi donne e uomini delle generazioni dell’attraversamento, si offre e avviene anche sotto un altro segno, quello della meraviglia. La meraviglia per come la vita cerchi vita, per la forza dei percorsi di un incontro quasi impossibile, quello della riconciliazione e della generatività, generosa e semplice, della tessitura di relazioni giuste, segnate da riconoscimento, attenzione e cura. Meraviglia stupita e grata specie di fronte a realtà in cui i deboli possono essere ancor più in balia dell’arbitrio, della indifferenza e della violenza.

Annuncio di futuro, un anticipo dei tratti, delle norme d’una terra nuova e ospitale promessa

Meraviglia per quanto avviene nei tanti luoghi di questo cammino che si va intrecciando nelle pratiche quotidiane e nelle interiorità, nei luoghi sociali e nelle politiche istituzionali, nei progetti tra comunità e storie lontane e nei contesti molto locali, quasi nascosti. In tante “comunità di pratiche” avviene un annuncio di futuro, un anticipo dei tratti, delle norme d’una terra nuova e ospitale promessa.

Qui prende forma un altro tipo di universalità: quella delle pratiche, delle “comunità di pratiche” che costruiscono degli universali concreti prima e oltre gli universali formali.[4]

Cambia il senso dell’altro e cambia l’esperienza del tempo

Il modificarsi dell’esperienza dell’alterità modifica l’esperienza del tempo. Lo scenario futuro si gioca all’interno della natività del gesto e della parola che legano le persone tra loro all’interno delle comunità. Si decide lì, nella reciprocità, nella prossimità, nella politicità del gesto, nella sua ricerca di senso. Persone, comunità, esperienze e movimenti cercano e tratteggiano gli orizzonti futuri che desiderano, che rivendicano per i figli e gli esclusi, per la salvaguardia della vita sulla terra, nelle pratiche e nelle coscienze.

Attese che alimentano la speranza perché l’angoscia non pieghi verso l’abulia e il disprezzo

Qui si collegano le attese di vita nuova, di giustizia ed equità, di rispetto e legame, e alimentano la speranza storica, perché l’angoscia – il sentimento del nulla – non pieghi verso l’abulia e il disprezzo, non produca grandi ondate di solo rifiuto dell’attesa e della speranza. Quel rifiuto che fa avvertire solo  in alcune parti del pianeta le soddisfazioni dei bisogni come più importante del futuro, della giustizia, della moralità. O quel rifiuto che nelle stesse e in altre parti del pianeta radica la violenza, la guerra, il terrorismo suicida, la disperazione.

Se il futuro è da tenere aperto, da preservare (potremmo dire che è cura), il presente deve ospitare una riserva, e un riserbo della vita.

Riserva e riserbo che chiedono un modo nuovo di fare il mondo, come la cura di quello che si potrebbe chiamare il tirocinio di una saggezza sabbatica.

Questo, oltre alla questione chiave dell’autolimitazione del potere umano (ricordiamo Hans Jonas e il principio responsabilità)[5], chiede di serbare i “possibili” della storia attraverso: un lavoro sulle memorie che le apra e le renda ospitali (anche grazie al pentimento e alla conversione); il rispetto della dignità umana; la legge di sovrabbondanza (o della “obbligazione” weiliana) a superamento di quella dell’equivalenza; la giustizia ecologica e tra le generazioni, la fraternità,[6]


[1] T. Todorov, La scoperta dell’America. Il problema dell’altro. Einaudi, Torino 1992, p XIII

[2] L. C. Susin, “La riconciliazione in un mondo di conflitti” in Concilium – rivista internazionale di teologia, 4, 2003

[3] M. Gauchet, R. Redeker, Utopia e modernità, Città Aperta, Troina (Enna) 2003, pp 7-9

[4] C. Vigna- S. Zamagni, Multiculturalismo e identità, Vita e Pensiero, Milano 2002

[5] H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, Einaudi, Torino 2009

[6] M. Ceruti, Sulla stessa barca, Qiqajon, Magnano (Bi) 2020

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