Per una responsabilità sociale delle imprese – il ruolo dei consumatori

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Per una responsabilità sociale delle imprese – il ruolo dei consumatori

Non basta produrre profitto. L’impresa ha le sue responsabilità
Anche i consumatori hanno il loro ruolo.
Alcuni significativi casi recenti

Nello scorso articolo abbiamo citato la lapidaria affermazione di Friedmann secondo cui compito dell’impresa è “usare le sue risorse e impegnarsi in attività finalizzate ad aumentare i suoi profitti il più possibile” nel rispetto delle norme applicabili: tale affermazione presuppone la ferma convinzione che, oltre alla presenza di un legislatore che ponga in essere buone leggi di mercato (tutto da dimostrare!), il profitto sia l’unico motore in grado di muovere efficacemente l’impresa e, quindi, a cascata di generare il progresso economico sociale dell’intero sistema.

Anche l’impresa ha una responsabilità sociale

Senza arrivare agli estremi opposti -che considerano il profitto dell’impresa come il risultato di sfruttamento e di speculazione, e non di innovazione e di calcolati investimenti produttivi- possiamo provare a verificare in che senso la tesi di Friedmann può e/o deve essere superata.

Innanzitutto si deve riscontrare con favore che si sta sempre più affermando la consapevolezza di una responsabilità sociale dell’Impresa, intesa come “la responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società” per citare, ad esempio tra le altre, la definizione adottata a livello europeo con la Comunicazione UE n. 681 del 2011.

Secondo tale impostazione, l’azienda è chiamata ad affiancare, alla responsabilità economica (intrinsecamente ineludibile per la sua stessa sopravvivenza), anche una responsabilità sociale che crei valori per tutto ciò che sta intorno all’azienda: valori vincenti per l’impresa, per le persone, per il territorio e per l’ambiente in cui opera, soprattutto attraverso l’applicazione di principi come la sostenibilità, l’eticità dei comportamenti, la responsabilità, la trasparenza, l’integrazione, l’inclusione, la parità di genere, la crescita occupazionale, umana e professionale, la tutela dell’ambiente.

Molto positiva, quindi, l’evoluzione normativa in materia scaturita da questa nuova presa di coscienza, che, accanto al tradizionale Bilancio di esercizio, che rappresenta uno strumento economico-finanziario, ha previsto nuovi strumenti di reportistica. Il recentissimo Decreto Legislativo 06.9.2024, ad esempio, ha introdotto nuove norme in materia di Bilancio di sostenibilità intesa come sostenibilità economica, ambientale e sociale: il citato D.Lgs., infatti, disciplina la dettagliata rendicontazione societaria annuale riferita a fattori ambientali, sociali, relativi ai diritti umani e di governance, compresi i fattori di sostenibilità, ossia le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva.

Non basta il massimo profitto

Questo lo vediamo anche nella diffusione di vari strumenti elaborati in materia volti proprio a definire e misurare il comportamento sociale delle imprese; pensiamo al rating di legalità, istituito dal decreto-legge n. 1/2012 al fine di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali; al codice etico aziendale di cui al D.Lgs. 131/2001 con lo scopo di promuovere un comportamento che sia conforme alla legge non solo nella forma ma anche e soprattutto nella sostanza. 

A questo punto possiamo affermare che la tesi di Freidman, ossia la massimizzazione del profitto, viene superata: il profitto economico va necessariamente bilanciato con altre finalità non meno importanti. Si tratta di un equilibrio da gestire con estrema prudenza ma con chiarezza di obiettivi e soprattutto con una visione lungimirante, e non a breve termine, dell’attività economica.

I consumatori sono responsabili

In questo contesto assume notevole importanza la crescente sensibilità degli utenti e dei consumatori oggi sempre più attenti ai temi etici e ambientali e consapevoli che con le loro scelte posso orientare, in un senso o nell’altro, i comportamenti delle imprese. L’impegno etico, quindi, non è solo in capo alle imprese ma anche ai consumatori chiamati ad una nuova assunzione di responsabilità, e disposti, ad esempio, a spendere di più per acquistare prodotti generati da fonti energetiche rinnovabili, o da una catena di approvvigionamento che garantisca la tutela dei lavoratori anche nei paesi del terzo mondo, oppure a rinunciare a certi prodotti in quanto fabbricati con materie prime pregiate derivante da deforestazione.

Un caso emblematico della forza dei consumatori lo abbiamo visto recentemente in Italia dove un noto marchio di abbigliamento di una notissima influencer è stato fortemente penalizzato nelle vendite a seguito dell’intervento della Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha pesantemente sanzionato per pratica commerciale scorretta la stessa influencer e la società per la quale aveva fatto da testimonial in una campagna pubblicitaria natalizia.

Un altro esempio della forza dei consumatori può essere preso in prestito dalla nota vicenda (almeno ai tifosi di calcio) della ipotizzata Superlega nel 2021 che, nel giro di 24 ore, anche grazie ad una fortissima opposizione dei tifosi inglesi, avversari in campo ma uniti fuori dallo stadio, ha fatto fallire il progetto ritenuto fortemente speculativo(il gruppo bancario statunitense JP Morgan si accreditava quale finanziatore del progetto per oltre 3 miliardi di euro) dei 12 grandi club interessati. 

Nel prossimo articolo ci focalizzeremo sul ruolo dell’etica anche alla luce della dottrina sociale della chiesa 

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