Marco Dell’Oro. Ancora un ricordo

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Ha avuto luogo ieri, nella chiesa di Santa Lucia, il rito funebre Per Marco Dell’Oro, il giornalista dell’Eco di Bergamo.
Giulio Brotti, suo stretto collaboratore e amico, lo ricorda

Il genere dell’elogio funebre mi mette in imbarazzo; e dell’amico Marco Dell’Orto, mancato il 30 dicembre, altri hanno già scritto cose molte significative (Franco Cattaneo, per esempio, sull’Eco di Bergamo, ha ricordato l’amore di Marco per Albert Camus e per la cultura francese in genere; Maria Grazia Panigada, nella sua pagina Facebook, ha invece rievocato una serie di incontri e di esperienze condivise nell’arco di molti anni).

Non soffriva di narcisismo

Provo lo stesso, senza pretese di originalità, ad aggiungere qualcosa. Parlando dell’attenzione che poneva al controllo delle fonti, all’esattezza delle citazioni, alla scelta delle immagini e all’ideazione dei titoli (ne cito uno fra tanti – semplice e bellissimo – per una pagina che comprendeva un articolo mio e uno di don Alberto Carrara: «Qohelet, la vita è un soffio»), Marco si attribuiva un atteggiamento «maniacale». Quando poi mi accennò per la prima volta al progetto di un domenicale per l’Eco (un inserto che trattasse «di tutte le cose visibili e invisibili»), aggiunse che i contenuti avrebbero dovuto essere «da urlo».

Prescindendo volentieri dai miei minimi contributi, mi pare di poter dire che, in molte uscite di questo domenicale, l’obiettivo sia stato raggiunto. L’elemento più notevole, però, è che l’impegno e il rigore di Marco nell’esercitare il mestiere di giornalista non si accompagnavano a nessun narcisismo: scrivere – e scrivere bene – di fatti e situazioni reali (non delle beghe tra influencer o di chi vincerà un contest di ballo tra presunti vip) significava per lui portare rispetto al mondo, rendere un servizio alla verità, offrire a chi ne fosse in cerca un possibile farmaco contro l’oblio, l’ignoranza, i preconcetti, il chiacchiericcio diffuso.

Colto e raffinatissimo in campo letterario e artistico, Marco si teneva ben lontano da quella forma particolarmente kitsch di esaltazione di sé propria di chi del sapere fa sfoggio; allo stesso modo, il suo era un cristianesimo assai più vissuto che declamato (e in ogni caso, refrattario ai toni parenetico-esortativi ricorrenti oggigiorno in certa pubblicistica religiosa).

Quando si muore “ci si sveglia accanto al fuoco”

Sempre riguardo alla scomparsa di Marco Dell’Oro don Carrara, su questo stesso blog, ha scritto che per un battezzato il giorno della propria morte è il dies natalis, il giorno della «nascita in cielo».  Ma per chi crede, che aspetto potrebbe appunto avere questo ingresso in un’altra vita? Dobbiamo immaginare che di noi si conservi solo un «nucleo», mantenutosi più o meno indenne mentre eravamo intenti ad attraversare la scena di questo mondo? Oppure, nell’eternità si conserverà tutto di noi – o perlomeno: ogni sforzo e lavoro, parola e gesto a cui precedentemente ci fosse parso di poter attribuire un qualche valore?

Commemorando un amico e collega cattolico, Carlo Arata, nel gennaio del 2014 il filosofo Emanuele Severino aveva paragonato la condizione degli esseri umani a quella di coloro che fossero tutti insieme ospiti in una casa, scaldata e illuminata da un fuoco acceso: attorno a essa una brughiera, spazzata dal vento. Noi – argomenta Severino -, credendo di trovarci all’esterno, «diciamo: “Ecco il mondo; questa è la vita che ci è toccata”. Ci crediamo mortali.

Ma quando si muore non si va da qualche parte. Ci si risveglia accanto al fuoco. Non più ingannati dal vento. Né intimoriti dalle ombre e dal gelo della brughiera». Sono portato a credere che, anche nel caso di Marco, oltre alla sua identità personale (alla sua «anima») pure gli studi, le letture, le riflessioni e le opere che hanno tramato la sua vita non andranno affatto dispersi (nella già citata pagina sul Qohelet, si riportava una citazione di Dietrich Bonhoeffer: dalla Bibbia, noi siamo autorizzati a credere «che nulla di ciò che è passato vada perduto, che Dio assieme a noi torni a cercare anche il passato che ci appartiene. Quando ci coglie la nostalgia per qualcosa che è passato, dobbiamo essere consapevoli che è solo uno dei molti “momenti” che Dio tiene ancora in serbo per noi»).

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