L’ambiente: un impegno di tutti. Sostenibilità/01

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Nando Pagnoncelli. Intervista esclusiva.
Nella raccolta differenziata l’Italia è largamente la più virtuosa in Europa.
Anche le imprese si sono adeguate. Con qualche scetticismo dell’opinione pubblica

Adottando una prospettiva un po’ diversa rispetto a quella dell’ambientalismo di taglio «novecentesco», nella Laudato si’Papa Bergoglio perorava la causa di un’ecologia integrale, «che comprenda chiaramente le dimensioni umane sociali». A Nando Pagnoncelli, presidente dell’istituto di studi demoscopici Ipsos Italia, abbiamo posto alcune domande sull’atteggiamento dei nostri connazionali riguardo ai temi della «sostenibilità ambientale» e della «responsabilità sociale d’impresa».

Vogliamo partire proprio dalla parola «sostenibilità»? Si sa effettivamente che cosa voglia dire?

«Un numero crescente di persone da noi intervistate dichiara di sì, di conoscerne il significato: il 39% dice di sapere molto bene che cosa riguardi e un altro 39% ritiene di saperlo abbastanza bene. Una decina di anni fa, solo il 5% conosceva il significato del termine. Un discorso che un tempo interessava solo una minoranza della popolazione ora è divenuto di dominio pubblico. Ancor più interessante, al di là delle conoscenze di carattere teorico, è il cambiamento sopravvenuto nei comportamenti quotidiani». 

Per esempio, nella raccolta differenziata dei rifiuti? Noi italiani siamo divenuti sensibili a questo aspetto?

«Sì, molto più della media degli abitanti dell’Unione Europea. Nel 1997, quando con il Decreto Ronchi fu introdotta per legge la pratica della raccolta differenziata, tra i cittadini prevaleva un atteggiamento critico, per non dire scettico: “Perché dovremmo faticare a separare i diversi tipi di rifiuti – era l’obiezione più frequente -, quando nelle piattaforme ecologiche vengono poi rimessi tutti assieme?”. Con l’istituzione del CONAI (il Consorzio Nazionale Imballaggi), che ha coinvolto un gran numero di imprese nei processi di trattamento e riciclaggio dei rifiuti, si è capito gradualmente che le cose potevano anche andare in altro modo: si è sperimentato che dall’impegno dei singoli cittadini potevano derivare dei benefici effettivi per tutti. Oggi siamo il primo Paese in Europa per raccolta differenziata, con una quota dell’83,6% del totale dei rifiuti. Abbiamo un distacco di più di 30 punti rispetto alla media europea. Peccato che lo sappia solo il 10% degli italiani e il 51%, quando glielo diciamo, non ci creda. Potrebbe invece essere un elemento di orgoglio perché alla base di questo primato ci sono i comportamenti virtuosi dei cittadini».

Nonostante gli stereotipi di segno contrario – sui sacchetti della spazzatura lanciati dai finestrini delle automobili e i vecchi materassi abbandonati nei prati delle periferie -, noi italiani siamo pure capaci di comportarci bene in questo ambito. 

«Gli stereotipi sono da ricondurre a episodi che fanno notizia ma che fortunatamente sono molto limitati in termini numerici. E i comportamenti virtuosi dei cittadini non si limitano alla raccolta differenziata ma si stanno affermando anche nei comportamenti di acquisto e di consumo. È cresciuta per esempio l’attenzione all’impiego di imballaggi riciclabili e biodegradabili, alla riduzione dell’uso delle plastiche, alla naturalità dei prodotti. Questa sensibilità ispira i comportamenti quotidiani di una larga percentuale di persone. Si è attenti all’aspetto del risparmio energetico – in parte, anche a causa del costo accresciuto dell’energia – ma paure a quello dell’acqua: una volta si lasciava aperto il rubinetto, ora lo si apre e lo si chiude secondo necessità, mentre ci si lava i denti o ci si fa la barba». 

È un fenomeno interessante, anche dal punto di vista psicologico: in questo caso non scatta automaticamente il dispositivo di una «delega di responsabilità» ad altri.

«Spesso, in presenza di problemi e criticità, si tende a puntare il dito contro le istituzioni, gli amministratori locali, i governanti. In questo caso, invece, si è diffusa la consapevolezza che la questione della sostenibilità ambientale interpella sì le istituzioni e le imprese, ma anche i singoli cittadini, chiamati ad adottare anche in privato determinate condotte e accorgimenti. Anche il sistema dell’istruzione, a partire dalla scuola primaria, ha contribuito alla diffusione di questa nuova mentalità: hanno un fondamento di verità – io credo – i tanti aneddoti su bambini e adolescenti che, tornati a casa da scuola, catechizzano i parenti su come vadano raccolti e separati i rifiuti».

Lei ha appena fatto cenno al mondo delle imprese: per sincera convinzione o per convenienza, molte di esse tengono a ottenere delle certificazioni di «sostenibilità ambientale» e «sociale».

«Sicuramente, questa tendenza si spiega anche con finalità di ordine reputazionale, proprio perché gli imprenditori e i dirigenti d’azienda sono consapevoli di una crescente sensibilità dell’opinione pubblica per la questione del rispetto dell’ambiente e della qualità della vita degli stessi lavoratori. Anche in Italia, in questo caso prendendo a modello altri Paesi europei, si sono avviate molte esperienze di welfare aziendale. Però, proprio su questi punti, stanno emergendo anche delle criticità».

L’atteggiamento presuntamente virtuoso di alcune aziende potrebbe ridursi a una strategia di greenwashing o di social washing?

«In effetti, tra le persone che periodicamente intervistiamo sta crescendo la percentuale dei “diffidenti”, di coloro che sospettano trattarsi spesso di spregiudicate strategie di marketing, per cui alle nobili dichiarazioni di intenti di una determinata impresa potrebbe poi corrispondere assai poco o nulla a livello effettivo. Gli “scettici” – ovvero le persone convinte che l’enfasi sulla questione della sostenibilità possa nascondere delle finalità biecamente commerciali – sono aumentati nel tempo, passando dal 13% nel 2018 al 22% lo scorso anno. È una conferma di quanto sia importante poter contare su certificazioni valide, prodotte da enti davvero indipendenti: questo, anche per valorizzare l’impegno di quegli imprenditori che si sforzano davvero di far corrispondere alle parole i fatti».

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