Innumerevoli i commenti, come era inevitabile. Tra i tanti c’è una notizia che riferisce di una affermazione di Ramos. Questi avrebbe affermato che voleva uccidere “come i marines”.
Interessante. Riemerge il tema, così caro a Girard, del carattere imitativo, mimetico della violenza. Il che significa almeno due cose. Prima: si restituisce la violenza che si è subito, l’aggredito imita l’aggressore. Seconda: la violenza è epidemica: non solo si fa violenza come la si è subita, ma si fa come la si è vista fare. I marines uccidono e Ramos uccide “come” loro. Il fascino della violenza diventa irresistibile.
Poi ci si potrà chiedere, con tutta la fatica del caso, se all’inizio c’è la violenza che viene imitata o se all’inizio c’è l’imitazione che moltiplica la violenza.
Questa ultima ipotesi è la più probabile e la più inquietante.
Gli spari di Uvalde sono l’eco lontana e tragica di tutte le manie imitative che governano gli uomini di ogni latitudine.
A furia di imitare si finisce per pensare che si è uomini perché si imita. Il fare “come” diventa più importante del fare.
A quel punto, un Ramos qualsiasi, squilibrato di suo, in cerca di una introvabile identità, diventa capace di tirare tutte le conseguenze e arriva ad ammazzare non perché ha qualche particolare motivo per farlo, ma solo perché ha visto farlo i marines.