“La realtà non è come appare”. Così titola un bel libro che il fisico teorico Carlo Rovelli ha pubblicato nel 2014, in cui racconta come sia cambiata l’immagine del mondo che i fisici ci hanno progressivamente restituito nel corso degli anni e di come sia ormai molto, ma molto distante dalla percezione immediata che ne abbiamo.
Due recenti articoli pubblicati su prestigiose riviste di divulgazione scientifica (Scientific American e New Scientist) ci restituiscono un’ulteriore prospettiva sulla realtà che è, se possibile, ancora più estranea a come i nostri sensi e il nostro cervello ce la restituiscono. Lo scenario che ne emerge interroga profondamente anche dalla prospettiva del credente e sui possibili legami che possono instaurarsi tra fede e scienza.
Conviene prima spendere qualche riga per un sommario excursus su alcuni di quegli aspetti del mondo fisico che gli anglosassoni definiscono “weird” (strani, misteriosi, magici), così come risultano dalle teorie elaborate a partire dell’inizio del ‘900 e che da allora non hanno più smesso di sconvolgere la fisica.
Einstein è stato tra i primi a sferrare dei colpi micidiali al senso comune della realtà. Dopo di lui il tempo, che noi pensiamo scorra regolare e allo stesso modo per tutti e ovunque, non si comporta affatto così e anche le dimensioni che hanno gli oggetti non sono univoche.
Se mi chiedono che ore sono e quanto è grande il computer su cui sto scrivendo la risposta più corretta che posso dare è: dipende
Se mi chiedono che ore sono e quanto è grande il computer su cui sto scrivendo la risposta più corretta che posso dare è: dipende. Ovvero, è relativa (teoria della relatività appunto) dalla velocità a cui ti stai muovendo tu che me lo chiedi. Facciamo molta fatica ad accettare che per qualcuno le lancette dell’orologio girino più lente e più veloci che per altri e che gli oggetti che ci circondano siano simili a quelli del cartone animato tiramolla. E questo è solo l’inizio.
Sempre lui, Albert Einstein, qualche anno più tardi, nel 1915, ci dice che lo spazio in cui viviamo non è “piatto” ma al contrario è “curvo”. Significa che, secondo una felice analogia, se noi fossimo gli abitanti di un mondo a due sole dimensioni, dovremmo pensarci come le figurine di un album.
Il punto è che queste figurine non vivono su un foglio piano ma piuttosto sulla superficie di un mappamondo curvo. Per noi che siamo “immersi” in quella superficie non ce ne accorgiamo, il mondo ci sembra diritto (o piatto), ma chi lo guarda da fuori lo vede certamente per come è ovvero curvo. Insomma, spazio e tempo che percepiamo come rigidi e immutabili sono al contrario del tutto deformabili.
Sempre negli anni del cosiddetto “trentennio che sconvolse la fisica” appare sulla scena un altro gigante, Erwin Schrödinger, portandosi con sé il suo famosissimo e assurdo gatto. In base all’interpretazione prevalente della sua teoria ci sono delle situazioni nelle quali tutto ciò che possiamo dire, fintanto che non lo guardiamo, è che il gatto è contemporaneamente vivo e morto (o se preferite un esempio meno cruento contemporaneamente sveglio e addormentato). Con i gatti non è possibile fare esperimenti per verificare la teoria ma nel mondo microscopico degli atomi e delle particelle questo fenomeno è del tutto assodato. I computer quantistici sfruttano proprio questo effetto.
Ci sono delle entità del mondo che stanno contemporaneamente in uno stato (vivo) e nel suo opposto (morto)
La faccenda si fa sempre più intricata. Spazio e tempo sono strani, deformabili e lo spazio è curvo. Pazienza. Ci sono però delle entità del mondo, seppure molto piccole, che stanno contemporaneamente in uno stato (vivo) e nel suo opposto (morto). Qui occorre dire che dopo circa un secolo dalla formulazione della teoria, che dal punto di vista sperimentale “funziona” perfettamente, riguardo alla sua interpretazione siamo ancora molto lontani da un accordo tra gli scienziati a testimonianza che della realtà anche i professionisti ci stanno capendo veramente poco.
Un’altra grande stranezza della meccanica quantistica che occorre menzionare ha a che fare con una parola che si sente sempre più di frequente e che conviene tenere a mente: entanglement, che significa intreccio, aggrovigliamento. Una delle conseguenze dell’entanglement è la “non località”. Se compio una azione ora è qui, ad esempio parlo al telefono, passerà qualche istante prima abbia effetto, ovvero che le mie parole giungano all’altro capo della linea, in un altro luogo a migliaia di chilometri di distanza. Invece se faccio un esperimento analogo utilizzando delle particelle “entangled” la mia azione compiuta ora è qui ha un effetto istantaneo (sottolineo istantaneo) anche in un altro luogo che può essere molto distante, anche in una galassia comunque remota dell’universo. Possiamo azzardarci a dire, con le dovute cautele, che in alcuni casi esiste un “intreccio” tra qui e un’altrove.
Sia bene chiaro che tutto quanto detto fin’ora è confermato da innumerevoli evidenze sperimentali. Non siamo nel campo delle supposizioni ma delle certezze scientifiche.
I fisici teorici continuano comunque a fare il loro mestiere e formulano nuove teorie che, proprio perché sono sempre più distanti dalla nostra esperienza immediata, sono molto complicate da verificare in laboratorio. Ormai possono trascorre 50 e più anni tra la formulazione di una teoria e la sua verifica sperimentale (ad esempio per il famoso bosone di Higgs) e il povero scopritore può godere talvolta solo di una fama postuma.
Andiamo ora a vedere qualcosa di quanto bolle nella pentola delle nuove teorie della fisica fondamentale. Sono moltissime e la maggior parte di loro si dimostrerà falsa. Qualcuna di queste idee però comincia a persistere da alcuni anni e progressivamente riscuote l’interesse di un sempre maggior numero di scienziati, il che costituisce un indizio interessante circa la loro possibilità di successo.
In ballo ci sono ancora lo spazio e il tempo. Questa volta le prospettive che vengono avanzate sono davvero estreme.
Già nel 1967 un fisico visionario, John Archibald Wheeler assieme a Bryce DeWitt provò a scrivere un’equazione che descrive la struttura l’universo nel suo insieme, con tutto quello che contiene (incluso noi che lo osserviamo). Quando l’equazione fu messa sulla carta la sorpresa fu da lasciare senza fiato. La variabile “tempo” non c’era più, era scomparsa. In questo tentativo di descrivere l’universo nella sua totalità, visto da fuori, con “l’occhio di Dio” come si usa dire, il tempo svanisce, non è più un ingrediente necessario. Da allora si è disputato a lungo sulla correttezza e sul significato dell’assenza del tempo. Che cosa è allora quello che noi percepiamo in maniera così pregnante? La questione è apertissima, con eminenti sostenitori sia a favore che contro l’esistenza del tempo. È di per sé interessantissimo che alcuni fisici teorici la ritengano una delle questioni su cui vale la pena indagare (e spendere interamente la propria carriera).
Lo spazio deriva da qualche cosa di più profondo e originario
Da ultimo l’argomento degli articoli nominati in apertura. Si avanza in modo sempre più insistente il sospetto che lo spazio non sia un elemento fondamentale della realtà bensì che sia “emergente” ovvero che derivi da qualche cosa di più profondo e originario. Per farsi un’idea di cosa significhi il concetto di “emergenza” si ricorre spesso all’analogia con la temperatura. Tutti noi percepiamo direttamente la temperatura (dell’aria, del nostro corpo, degli oggetti intorno a noi) e siamo portati a credere che sia una proprietà fondamentale della materia. Invece sappiamo da più di un secolo che essa è la manifestazione del moto incessante e vorticoso della miriade di molecole che compongo tutti i corpi. In questo senso la temperatura emerge da una realtà sottostante, quella delle molecole. Alcuni scienziati ritengono che per lo spazio possa accadere qualcosa di simile ovvero che lo spazio non è la trama fondamentale della realtà su cui si dispiegano gli eventi; esso stesso ha una struttura soggiacente. Ma allora di cosa è fatta questa struttura e dove sta se non è dentro lo spazio ? Domande che fanno venire le vertigini.
L’elenco delle stranezze sarebbe ancora lungo. Queste bastano comunque a mostrare che la fisica fondamentale e la teologia hanno in comune la convinzione che la realtà ultima è sfuggente rispetto alla nostra esperienza, che anche categorie fondamentali come lo spazio e il tempo in cui viviamo immersi sono nella loro essenza profondamente… altre.
La fisica fondamentale e la teologia hanno in comune la convinzione che la realtà ultima è sfuggente rispetto alla nostra esperienza
Ci si aspetterebbe che un tale scenario apra ad un intenso dialogo tra fisica e teologia e invece continua a prevalere, come ha osservato Giulio Brotti in questo stesso blog, il principio del “non overlapping magisteria” secondo cui scienza e teologia avrebbero aree di indagine diverse e metodi propri, ognuna è padrona nel proprio ambito e non pesta i piedi all’altra sconfinando oltre le proprie competenze. Alla luce di questi ultimi sviluppi della fisica vien da chiedersi se ha ancora senso mantenere questo muro divisorio impermeabile dato che in fondo per entrambe… la realtà non è come appare.
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