
Una volta si parlava degli arcana Imperii, cioè dell’oscurità del potere, che fin dalla notte dei tempi voleva restare segreto per avere quell’alone di mistero che attira onore. Ma Ugo Foscolo lodava quel “grande”, il Machiavelli,
“che, temprando lo scettro a’ regnatori,
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue” (I Sepolcri, vv. 155-158);
cioè che, restituendo le giuste dimensioni allo scettro dei potenti, li sfronda della gloria dell’alloro e rivela alfine alla gente comune di che lacrime e di che sangue grondi quello scettro.
A rivelare le cose della politica oggi sono in campo, con meno ispirazione e con maggiore pervasività, i nuovi media. Essi potrebbero e dovrebbero svolgere un ruolo positivo per la trasparenza della politica e portare ad una partecipazione più consapevole ed inclusiva. In realtà essi hanno rotto i confini tra sfera pubblica e privata e, per un eccesso non filtrato di messaggi, hanno reso nuovamente arcana la politica e l’hanno omogeneizzata, rendendone indistinte le posizioni, ridotte a spunti biografici o episodici.
Il pubblico diventa privato, le opinioni si polverizzano
Oggi i messaggi prodotti nella riservatezza del privato diventano missive pubbliche, con minore qualità, non filtrate, non editate e non selezionate né regolate. Le prestazioni delle piattaforme sono guidate da algoritmi che obbediscono al criterio di realizzo del capitale e appartengono a forti società quotate in borsa. Senza che vi sia assunzione di responsabilità. Sostenute dalle persone degli influencer che fanno diventare vera un’affermazione su base emozionale, ci si avvia ad una cosiddetta democrazia post-veritativa (post-truth democracy). Rendendo privato il pubblico, polverizzando le opinioni non si crea opinione comune ma si erode il criterio della oggettività e della verità delle notizie (“tutte sono uguali”) e si rende la scienza stessa sospetta di complotto contro la verità delle cose (come nel caso del Coronavirus). Come bene dice Habermas, la sfera pubblica non è più percepita come inclusiva in quanto generalizzazione degli interessi individuali, ma come spazio per manifestare like e dislikesenza controllo, da parte degli individui, nella intimità anonima, che è ferreamente orientata dall’economia che finanzia gli strumenti informatici.
Di fonte ad una ressa di notizie che intenzionalmente danno spazio a tutto e al contrario, non ci si sa orientare: così la politica torna ad essere arcana per troppa visibilità incontrollata. Non si hanno più i parametri per giudicare un insieme che sfugge da ogni parte. Una volta, agli albori dei media, si facevano “gruppi d’ascolto”, per abituare a valutare insieme le notizie dei media, ma ora l’individuo è lasciato solo col suo tascabile aggeggio di comunicazione.
Il panorama che esce dall’impressione e non dal giudizio, difficilmente crea un consenso intorno alla politica. Anzi: lo crea sulla sua precarietà, che è la stessa dei like e dislike. Sostanzialmente se ne trae l’idea di indistinzione (“tutti sono uguali”) e di impotenza (“la politica non serve”). In realtà le grandi scelte della politica ormai sfuggono alla politica e alle ideologie e sono in mano ad altri protagonisti (soprattutto finanziari) e non si vede come si possa interferire. E il giudizio politico, che resta sospeso e impotente di fronte ai grandi eventi mondiali, si trasforma anche in giudizio di impotenza nei confronti della politica a noi vicina.
Il Presidente della Repubblica è ridotto a garante della collocazione internazionale dell’Italia
Ma noi non possiamo proprio fare niente per rilanciare la politica? Dovremo solo accettare la sorte odierna d’una politica “sotto tutela”? In verità sembra che nelle stesse democrazie occidentali si insinui l’idea che sia impossibile modificare alcunché con scelta politica. Pare infatti che il ruolo stesso di garanzia dei Presidenti degli Stati sia ormai quello di essere garanti della fissità del quadro e non della democraticità delle scelte, indipendentemente dall’esito stesso delle elezioni politiche.
Si veda l’esemplare caso della Francia, dove il Presidente sta esercitando un ruolo contrastativo dell’esito elettorale nel nome della Nazione. Ma anche in Italia il nostro Presidente è ormai garante non primariamente del rispetto della Costituzione, ma della fissità della collocazione internazionale dell’Italia, a pescindere dalla varietà dei governi. Probabilmente è opportuno che sia così, ma così facendo si conferma sempre più l’idea che la scelta politica non conta, perché nulla può modificare. E cresce il disimpegno e l’astensione.
Ma proprio nulla di nuovo e di originale si può attendere da una scelta politica? Ci si lasci una speranza. Pur nella consapevolezza dei limiti della politica e dell’”ordine” che si è imposto, si possono tuttavia fare o non fare alcune cose in proprio e qualificare una scelta politica. E qualcuno (ad es., Cacciari) ne elencava alcune.
È vero: la politica dell’immigrazione scavalca le possibilità di una politica nazionale, ma nessun imperativo esterno imponeva al Governo Meloni la scelta di quella operazione Albania che si sta rivelando un flop e uno spreco enorme di risorse. È vero: la politica economica finanziaria ha leggi e convenzioni extraterritoriali che si dicono vincolanti, ma è stata una politica del nostro Governo a non voler tassare gli utili straordinari delle banche e delle industrie farmaceutiche. È vero: è il PNRR che impone opere di pubblica utilità, ma è la nostra politica che ha scelto il Ponte sullo Stretto e non, ad es., l’ammodernamento delle linee ferroviarie.
La politica ha ancora e sue possibilità. Bisogna scegliere
E nelle guerre: sembrano – e sono – un problema che trascende la politica degli Stati: ma la nostra politica poteva o no far valere la nostra Costituzione e far ragionare e moderare i partner sul fatto che la guerra, oltre che un drammatico costo umano, rappresenta uno spreco enorme di risorse. Tanto più che Trump ha vinto le elezioni anche su questo argomento che quindi ha un risvolto mondiale. E infine, quale organismo internazionale impone al nostro Governo di non governare la sanità pubblica e privata, ma di lasciarle andare in braccio al mercato, anzi di spingervele? E ci fermiamo qui.
Come si vede, la politica non ha lo spazio cosmico, ma ha ancora tanti spazi locali e non può scaricare tutte le sue responsabilità. E le scelte non sono indifferenti, e perciò non meritano astensione, ma discernimento e impegno.