In mattinata arriva improvvisa e inattesa la notizia che è morto Berlusconi. Mi sono venute in mente alcune idee. Le ho buttate giù così come sono venute. Hanno lo svantaggio – notevole – di essere soltanto mie, fuori del gioco e dei grandi ingranaggi. Dunque, contano praticamente nulla. Hanno il vantaggio di essere disinteressate: non devo nulla a Berlusconi e, ovviamente, Berlusconi non deve nulla a me.
Intanto si deve prendere atto dell’enorme risonanza che l’evento ha avuto nel mondo intero, al di qua e al di là dell’Atlantico, a Ovest come a Est. Dobbiamo dare non solo la notizia della morte di Berlusconi, ma la notizia delle molte notizie. La morte, dunque, fa da incredibile amplificatore di quello che capita sempre: di chi governa si deve parlare, di chi è governato no. Le notizie cadono sempre dall’alto. La politica è il grande spettacolo con i pochi attori sul palco e i molti spettatori in platea.
Non solo si parla molto, ma anche per Berlusconi, soprattutto per Berlusconi, vale il principio di ogni morte e di ogni morto. Quando uno muore si deve parlar bene di lui. Quindi anche di Berlusconi si deve parlare bene. E’ il tono prevalente sia da parte di amici e sodali di ogni tipo, ovviamente, sia, meno ovviamente, da parte dei molti avversari politici. In qualche capitolo dimesso e marginale si ricordano i processi che Berlusconi ha dovuto affrontare e si ricordano le vicende familiari non sempre precisamente esemplari, almeno per un osservatore disinteressato. Con casi limite. E’ stata necessaria la morte di Berlusconi per far piangere perfino Vittorio Feltri. Poi, naturalmente, Vittorio Feltri tornerà a sbranare tutti. Con una patente inattesa: può sbranare tutti perché ha saputo perfino piangere.
Naturalmente, i giornali parlano anche del futuro: a chi spetterà cosa dell’eredità e che ne sarà dell’altra eredità, quella politica. Ho sentito Schifani, uno dei primi e dei massimi collaboratori del Cavaliere, dire che muore “il corpo” di Berlusconi, ma che Berlusconi continua a vivere con la sua anima e le sue idee. Si potrebbero dire molte cose di affermazioni così. Una, evidente, di fronte a qualsiasi evento luttuoso: più uno è vicino a chi se ne è andato, meno si può rassegnare alla morte. Mentre Berlusconi muore gli amici più stretti dicono che non muore, che non deve morire. Mi piacerebbe incontrare fra un paio d’anni Schifani e chiedergli se davvero Berlusconi ha continuato a vivere. E chiedergli anche in che senso. Ai posteri l’ardua sentenza.
Intanto qualcuno ha già incominciato a far funzionare un po’ di senso critico. Riconoscere, certo, i meriti imprenditoriali e politici di Berlusconi, ovvio. Ma senza illudersi che tutto è bello nell’imprenditore Berlusconi e nel politico Berlusconi, solo perché è morto. Massimo Giannini ha parlato della vicenda Berlusconi come della “autobiografia della Nazione”. Ma in questa autobiografia c’è dentro di tutto, bene e male, non solo nelle sue emittenti televisive, ma anche nella sua attività di palazzinaro di prima della “discesa in campo” nella politica.
Sarebbe un bel guaio, insomma, se la morte di Berlusconi appiattisse tutto e cancellasse quel pizzico di senso critico che deve esserci sempre, soprattutto di fronte a personaggi così vari e a vicende storiche così complesse.