“Gaza è finita sullo sfondo. Ora la guerra è su più fronti”. Così titolava il Corriere di ieri.
La guerra in grande replica le guerre in piccolo.
Quando uno è colpito, sente la necessità di rispondere al colpo. La guerra è segnata dalla stessa logica e finisce per essere un interminabile seguito di botta e riposta.
E’ necessario rispondere soprattutto. Le affermazioni degli ayatollah sono del genere: arriverà la punizione, puniremo i colpevoli. Ma affermazioni simili le avevano dette nei giorni scorsi i responsabili politici e militari israeliani. La stessa guerra di Gaza è nel suo insieme la risposta al 7 ottobre.
Ma l’urgenza della risposta la espone al pericolo di essere prima o poi “esagerata”: la prima preoccupazioni di chi è stato colpito, infatti, è colpire, talmente dominante questa preoccupazione da far passare in secondo piano la preoccupazione dell’equilibrio della risposta. E’ più importante rispondere che rispondere equilibratamente.
E così la guerra scoppiata per certe ragioni deflagra per altre ragioni, scoppiata in un certo posto esplode in altri, diversi posti. E’ quello che sta avvenendo in Medio Oriente.
Sharon Verzeni è la ragazza assassinata a Terno d’Isola. Fino ad ora non si sa nulla. I giornali dicono che Sharon è stata colpita di spalle, che non ha reagito. Nessuna telecamera ha ripreso la scena e non si è ancora trovato l’arma del delitto.
Mi vengono in mente impegnative considerazioni sulla natura del male, il male in genere. Spesso il male – spesso, non sempre – si mimetizza. Si deve prendere atto che l’unica cosa che si può vedere è il risultato della violenza: la morte della vittima. Di tutto il resto non si sa nulla.
Forse questo tipo di violenza descrive meglio di ogni altra quella realtà, così incomprensibile, che è il peccato originale.
Il male c’è ed è più grande di tutto il male che si vede.
Soprattutto il male che ci piomba addosso non l’abbiamo voluto noi ma arriva comunque e ci sconvolge. Non se ne può far nulla.