
Si chiama S. e vende rose ad un semaforo della nostra città.
Fa questo lavoro da otto anni, da quando è arrivato in Italia dal Bangladesh, tutti i giorni inclusi Sabato e Domenica, da mezzogiorno alle 10 di sera.
Ci vediamo quasi ogni giorno, quando rientro in auto a casa. Il semaforo dura così a lungo e il traffico è così intenso che spesso c’è il tempo per scambiarci qualche parola. Tanto che nel corso degli anni siamo diventati amici. La moglie e le tre bambine vivono in Bangladesh e lui riesce nell’incredibile impresa di pagarsi un affitto in condivisione, mangiare e mandare alla famiglia soldi a sufficienza per mantenerla. Spesso sorride, nonostante una vita che ai miei occhi appare di esclusivo sacrificio.
Qualche settimana fa, con il suo italiano che definire stentato è un eufemismo, mi dice: ”no bene, no dorme, pensa molto”, accompagnato da una espressione di sconforto molto eloquente. “Perché, cosa succede?”. “Acqua casa, tanto acqua, moglie e bambine via. Amico trova casa no acqua, tanti soldi”.
Il 40% del territorio del Bangladesh è a meno di dieci metri di altitudine. In un paese attraversato da diversi fiumi, dal territorio fragile e già particolarmente suscettibile ad inondazioni e alluvioni. L’innalzamento dei livelli del mare inizia ad aver un impatto enorme su una popolazione già povera, soprattutto per coloro che vivono lungo le coste. Uno studio pubblicato la primavera scorsa su Earth’s Future prevede che a causa dell’allagamento delle coste 1,3 milioni di persone saranno costrette a migrare in aggiunta a quelli che sono i flussi migratori standard.
Niente di nuovo, tutte cose che bene o male già si sapevano. Dove sta la novità? La novità, se c’è, sta in un cambiamento nella percezione temporale delle conseguenze del clima.
Lo si capisce anche dal linguaggio che usiamo per riportare le notizie dei disastri causati dal cambiamento climatico che ormai si susseguono con grande frequenza. Violenti nubifragi che causano esondazioni, fortissimi venti che scoperchiano i tetti degli edifici, frane, lunghi periodi di siccità che mettono in crisi l’agricoltura. In alcuni stati anche trombe d’aria che radono al suolo vaste aree abitate. E parliamo sempre di “ondate”; ondata di maltempo, ondata di calore, ondata di nubifragi. L’ondata di per sé comporta una prima fase in cui causa danni e distruzione, ma poi si ritrae e torna nel suo alveo. Si ritorna ad una condizione in cui non si è più sotto attacco, in cui l’evento distruttivo cessa e si può procedere al recupero del territorio, dei campi agricoli, alla ricostruzione di case. L’ondata ci lascia la sensazione di ritornare, seppure a carissimo prezzo, a ricostituire lo stato di normalità precedente. Ci permette di continuare a pensare che la reversibilità è possibile.
Eppure da tempo sappiamo che i grafici che indicano la crescita della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera o l’incremento della temperatura media della terra non presentano più, come nei decenni passati, alcuna oscillazione (ondata). Sono invece delle curve esclusivamente in costante e rapidissima crescita. Indicano che quello che sta accadendo rischia fortemente di essere senza via di ritorno (irreversibilità). Ma sono solo dei grafici.
La storia di S. ci sta raccontando la stessa cosa ma lascia, almeno a me, una diversa consapevolezza rispetto a quella che trasmette una curva su un grafico. Il mare è salito di livello, ha allagato la sua casa e semplicemente non ritornerà più indietro, per sempre. Si può dire per sempre, almeno se si misura il peso di questa parola sulla scala temporale della vita di un uomo.
Mi incuriosisce molto il parallelo con la terminologia usata per descrivere la propagazione dell’epidemia di covid. E’ la stessa: ondata. Abbiamo cominciato con la prima ondata, quella partita da Wuhan a inizio 2020 a cui è seguita la seconda ondata dell’autunno scorso. Anche quella si è ritirata e ci ha fatto credere in un progressivo ritorno alla normalità ma il nuovo freddo si è portato con se la terza ondata.
Di pari passo sono seguiti i vaccini. Già al primo vaccino si era detto che sarebbe servito un richiamo e si sperava che fosse finita lì. Adesso però si è resa necessaria la terza dose per fermare la variante omicron.
Le lettere dell’alfabeto greco però sono 24 e se ognuna battezzerà una nuova variante le cose andranno molto per le lunghe. Infatti si comincia a parlare di un probabile richiamo annuale. Dunque non si tratterà più di ondate ma di una situazione endemica permanente. Ne stiamo diventando sempre più consapevoli e per la salute continuiamo a mettere in campo enormi risorse, sforzi, sacrifici. Anche per il clima può essere una buona idea: smettere di ragionare in termini di ondate, perché per qualcuno di noi il mare è già in casa, per restarvi.