Crotone. La scarpina del bambino. E noi

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Una scarpina sulla spiaggia di Crotone porta al bambino che l’aveva persa.
“L’Italia è un paradiso abitato da gente che si crede in inferno”.
Vero o falso? Uno spunto biblico per non disperarsi

La scarpina persa

Si continua a parlare di Crotone, anche perché continua la ricerca delle salme non ancora ricuperate. Nei giorni scorsi si è ritrovata la salma di un bambino.

Il corpicino è stato designato, in un primo momento, da una sigla: KR70M6. Leggiamo dal Corriere: “Nella sigla «KR» sta per Crotone, «70» ci indica che stiamo davanti alla settantesima salma recuperata mentre «6» sono gli anni ipotizzati. Gli specialisti hanno immaginato che il piccolo potesse essere il figlio di una coppia tra le più giovani a bordo della Summer Love. Quanto al resto, ci si può limitare a ciò che, sbrigativamente, dicono dalla Questura: mostrare foto e scarpina allo zio (ma forse agli stessi genitori, non è chiaro) giunto dal Nord Europa per il riconoscimento”.

Il bambino morto era KR70M6. Segno di riconoscimento: una scarpina trovata sulla spiaggia. Ieri è stato identificato. Si chiamava Akef e avrebbe compiuto i sei anni tra poco. Il riconoscimento, dicono i testimoni, è stato “straziante”.

E si capisce. Ma è straziante anche per chi legge la notizia del particolare della scarpina. Il piccolo, infatti, aveva perso una scarpina e una scarpina era stata portata a riva dalle onde. Questa, insieme con gli altri dettagli, ha permesso il riconoscimento. Lo strazio viene dal fatto che il piccolo è stato riconosciuto grazie a una scarpina persa. Fa venire il magone pensare che l’identità di un bambino morto, e morto a quel modo, dipenda da una scarpina e, per di più, persa. Né il suo corpo, né la sua faccina, forse deturpata dall’acqua e dal tempo, ma una scarpina persa. Quel bambino, in realtà, non ha perso solo la scarpina, ha perso la propria identità, ha perso tutto. Ma, in qualche modo, quella scarpina smarrita, fa smarrire anche noi. 

L’Italia è un paradiso o è un inferno. Dipende

“La Francia è un paradiso popolato da gente che si crede in inferno”. Così Sylvain Tesson. Leggo la citazione e, subito, la frase mi intriga. Mi domando: se, al posto di “Francia” mettessimo “Italia”, la frase sarebbe meno vera? Mi sembra proprio di no. Anzi. “L’Italia è una paradiso popolato da gente che si crede in inferno”. E si potrebbe giocare sui due termini. L’Italia è un paradiso per le sue bellezze naturali, per il suo incredibile patrimonio artistico, per la sua storia… L’italia è un inferno perché la gente che ci abita oggi fa di tutto per inabitabile il paradiso in cui vive. E le imprese che gli italiani mettono in piedi per trasformare il paradiso in inferno sono innumerevoli. Basta leggere un giornale. Si deve anzi dire che questa trasformazione è sempre più facile perché sono sempre di più gli addetti ai lavori. 

L’Italia è un paradiso popolato da gente che si crede in inferno

L’unica via d’uscita sono i piccoli paradisi che qualcuno, qua e là, si ritaglia per sé e per le persone care. Piccoli paradisi per difendersi dalle violente fiammate all’intorno. Mi viene in mente la scena del libro del profeta Daniele. Azaria, Anania e Misaele, esuli a Babilonia, si sono visti cambiare i loro nomi in Sadrac, Mesac e Abdènego. Vengono buttati nella fornace ardente perché si sono rifiutati di adorare la statua del re. “La fiamma si alzava quarantanove cubiti sopra la fornace e uscendo bruciò quei Caldei che si trovavano vicino alla fornace. Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada (Daniele 3, 47-50). Qui il piccolo paradiso è un dono che viene dall’alto: è l’angelo, infatti, che allontana le fiamme e fa soffiare il vento pieno di rugiada. Noi non disponiamo di angeli e ci arrabattiamo da soli. Ma lo schema è lo stesso: godere di un po’ di rugiada in mezzo alle fiamme. Poi, se lo vogliamo, potremo fare i raffinati e intuire, anche nel nostro indaffararci, il brusio misterioso di qualche ala d’angelo. 

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