Crisi della classe politica e riforme costituzionali

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L’Italia conta sempre meno nei rapporti internazionali. Intanto si parla di riforme costituzionali e si pensa di modificare la figura del presidente della Repubblica che è quella che gode la maggior fiducia dei cittadini

Le riforme costituzionali sono diventate lo specchio dell’autoreferenzialità malata della classe politica. Un dibattito che non appassiona quasi più nessuno e soprattutto una finta priorità per un Paese soffocato da preoccupazioni legate al lavoro, al costo della vita, alla guerra, alle devastazioni ambientali, alla criminalità organizzata, ecc…

L’Italia ai margini

In che modo la riforma costituzionale, presidenziale o del premierato, possa rispondere a queste preoccupazioni non è dato sapere, mentre è ben chiara – per chi abbia occhi per vedere – la manovra di distrazione di massa dall’inconcludenza assoluta dell’azione politica e dalla marginalità indecorosa in cui l’Italia è scivolata sul piano internazionale. Un Paese le cui scelte economiche e politiche fondamentali (come la partecipazione alla guerra!) sono predeterminate dall’egemonia atlantica e, sempre più a ruota, dal condizionamento euro-unitario mette in scena un dibattito surreale sulla forma di governo, come se un indirizzo politico nazionale si ergesse ancora autonomamente in un Paese tenuto in scacco dalla sua esposizione debitoria e finanziaria.

Le scelte politiche ed economiche dell’Italia sono sempre più dipendenti da “altri”

Lo schiacciamento del Governo Meloni sulla fantomatica Agenda Draghi – duramente avversata nel periodo urlante dell’opposizione – è la manifestazione di questo solco quasi obbligato. In questo quadro vincolato, è evidente che la verticalizzazione del potere decisionale in capo a un organo monocratico sarebbe funzionale, non a rafforzare la responsabilità politica verso i cittadini, ma solo a oliare la cinghia di trasmissione che porta direttive politiche sempre più stringenti ed esplicite – e noncuranti del consenso dei cittadini – dalla NATO o dalla Commissione Europea fino al “decisore” nazionale, superando il “fastidio” della dialettica parlamentare. 

La sfiducia crescente dei cittadini

Se davvero il dibattito sulle riforme costituzionali fosse attento – come retoricamente si sostiene – alle richieste che si levano dai cittadini, esso guarderebbe in tutt’altra direzione. Per convincersene, basta consultare le rilevazioni periodiche dell’istituto demos, relative alla (s)fiducia degli italiani verso le istituzioni[1], per avere la rappresentazione plastica della crisi pervasiva e persistente di credibilità dei partiti politici, la cui inconsistenza democratica colpisce e penalizza anzitutto il Parlamento. La fuga dalle urne è una conferma tragica della veridicità di questa rilevazione.

In questo drammatico scenario di scollamento tra cittadini e partiti, tra cittadini e rappresentanza politica nazionale, la classe politica, invece di mettere mano finalmente a una riforma vincolante di democratizzazione dei partiti e – per esempio – al ripensamento del bicameralismo, si balocca con idee semplicistiche e disarmanti come il sindaco d’Italia (come se il Parlamento – che ha potere legislativo – potesse essere assimilato a un consiglio comunale e posto sotto ricatto del sindaco-Presidente) o con immaginazioni (semi)presidenzialistiche, a dispetto del fatto che il Presidente della Repubblica raccoglie – nella stessa indagine Demos – una larga fiducia popolare.

Sui progetti di riforme costituzionali regna sovrana la confusione

Per fare una battuta, siamo davanti alla situazione paradossale di una società calcistica che, avendo una squadra scarsissima, invece di sostituire i giocatori incapaci, decidesse di cambiare l’unico decente che abbia in rosa… Che il dibattito sia davvero surreale lo dimostra l’oscillazione spericolata delle soluzioni proposte: dal presidenzialismo di partenza (contenuto nei programmi elettorali) a un oscuro premierato (il sindaco d’Italia), attraverso il semipresidenzialismo, come se, in fondo, bastasse eleggere “qualcuno”, come è stato perfino affermato, in modo imbarazzante, dal Ministro Casellati. 

Insomma, siamo al cospetto di riforme introverse, che guardano cioè solo al potere, espressione dell’autoreferenzialità di una classe politica rinserrata nei suoi privilegi, che, profittando di una stampa nazionale corriva e con la complicità di accademici (tra cui taluni “costituzionisti”, come li ha definiti Zagrebelsky) e intellettuali in cerca di nomine e di cooptazione, sposta l’attenzione su pseudo-problemi. Classe politica e stampa, di nuovo con la compiacenza di intellettuali prezzolati, sono riusciti a bollare con l’etichetta vuota e screditante di “populismo” la legittima e costituzionalmente doverosa istanza di partecipazione dei cittadini alla vita politica, sociale ed economica del Paese. 

La mancata riforma dei partiti, del bicameralismo, dell’autonomia locale. E poi l’Europa…

Chi volesse dedicarsi alle riforme costituzionali, avendo la Costituzione in testa e i cittadini nel cuore, dovrebbe porsi il problema ineludibile e indifferibile di ridare forma istituzionale alla partecipazione dei cittadini, la cui volontà di impegno è oggi frustrata dall’inconsistenza dei canali istituzionali ostruiti dai partiti e dalla tentazione della strumentalizzazione. Le priorità sono evidenti: riforma (non di rango costituzionale) dei partiti, nel senso della democratizzazione della loro organizzazione interna; riforma del bicameralismo, nella direzione di arricchire la capacità parlamentare di rispecchiare il pluralismo vitale del popolo sovrano; rafforzamento degli spazi dell’autonomia locale.

L’Europa, la sua forma istituzionale, la sua autonomia…

E, naturalmente, su scala maggiore, urgerebbe la ripresa del dibattito sulla forma istituzionale (questa sì di vero governo!) dell’Unione Europea, entro cui assistiamo a un nuovo protagonismo della Commissione europea, del tutto sganciato però da canali di responsabilizzazione democratica verso i cittadini europei. La recente candida ammissione televisiva del noto giornalista Massimo Franco, per il quale dire Unione Europea equivale sempre più a dire NATO, rappresenta la plastica rappresentazione del fallimento politico dell’Europa e della sua perdurante subalternità economica e strategica. 

Non è contraddittorio puntare sulla partecipazione dei cittadini e sul ruolo delle autonomie territoriali in un contesto di forte condizionamento politico ed economico sovranazionale, quale quello descritto? Pur non nascondendomi le difficoltà obiettive, io penso che proprio le istituzioni locali possano essere il contesto ospitale per una nuova istituzionalizzazione della sfera pubblica, animata e arricchita dalla partecipazione civica, e, per questo, paradossalmente, più libera dai vincoli giuridici e finanziari. 


[1] http://www.demos.it/rapporto.php

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