Giovani uomini di colore iniziano insistentemente a circolare per il paese: visibili e invisibili nello stesso tempo. Nessuno sa niente: “…perché qui…come mai?”. Qualcuno ha paura e chiama i carabinieri: la memoria torna ai fatti di Lizzola di qualche mese prima.
Finalmente si capisce che sono arrivati in 23 e sono ospitati in un ex albergo chiuso dal 2019; altri ne arrivano; qualcuno va, molti ancora arrivano, fino ad essere anche ottanta.
Il parroco decide di andare a trovarli; parla francese e capisce che in maggioranza provengono dall‘Africa francofona: Camerun, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Tunisia, Marocco; i pochi dal Pakistan e Afghanistan parlano un inglese stantio e sono ancora più isolati. Due ragazzi della Costa d’Avorio sono cristiani. Tutti sono in attesa.
Tra persone sensibili della parrocchia si dice:
“…bisogna non creare voci strane, togliere la paura… trovare il modo di presentare il gruppo di ospiti stranieri alla Comunità…”. Nasce l’idea che l’incontro, per essere facilitato, avvenga in chiesa, nella messa.
Viene lanciata la proposta e il Consiglio pastorale approva: ”E’ una buona idea; chiediamo durante la Messa una loro testimonianza”.
Ci vorrà un mese per preparare l’incontro, sono i “tempi africani”. Intanto gli “ospiti stranieri” cominciano, in modo moto discreto, a giocare tra loro nel campo dell’oratorio portandosi un pallone.
La proposta dell’incontro arriva anche agli “ospiti stranieri”. Alen Patrick, uno spontaneo portavoce, convince il gruppo, anche i mussulmani: “…ragazzi, partecipare alla Messa è il minimo che dobbiamo fare per loro che ci lasciano giocare nel loro campo…”. Ma non hanno i vestiti per andare in chiesa; molti portano ancora l’infradito dello sbarco.
Il paese si mobilita: arrivano vestiti di ogni genere.
Arrivano alla messa in 30. Il celebrante si rivolge loro in francese, anche qualche preghiera è in francese.
Alen Patrick prende la parola per tutti, racconta il loro percorso; dice: “…siamo fortunati perché siamo arrivati.” Una parrocchiana traduce in simultanea.
Scatta una nuova dinamica; da quel momento, sempre, gli “ospiti stranieri” salutano tutti quelli che incontrano per strada.
Da due anni a Gromo nella tarda primavera si svolge un torneo di calcio alla memoria di due giovani sportivi del paese improvvisamente morti. Nel paese si apre un confronto: formare la squadra degli “ospiti stranieri” e inserirla nel torneo? I pareri sono discordi.
Si comincia con una partita dimostrativa per capire il livello di gioco della potenziale squadra “ospiti stranieri”: il risultato è convincente, ma le incertezze continuano.
La questione si sblocca quando proprio i familiari dei ragazzi morti a cui è dedicato il torneo decidono di farsi carico delle quote per iscrivere la nuova squadra. Mancano però le divise, magliette, scarpe (si sono visti “ospiti” giocare in pigiama); parte la mobilitazione generale. Alla fine tutto è perfetto.
La squadra degli “ospiti stranieri” si classifica al terzo posto; gli esperti dicono che senza una “défaillance” del portiere avrebbero potuto vincere (grazie anche al tifo dei ragazzi di Gromo).
Cosa avranno capito gli “ospiti stranieri”, cosa abbiamo capito noi? Che è stata una festa, che siamo stati felici insieme. La passione in comune, il calcio, e l’oratorio sono stati strumenti per l’incontro.
Maurizio Cattelan è un importante artista italiano contemporaneo; è perturbatore dell’ordine costituito. Con le sue installazioni denuncia politica, gerarchie sociali, interessi economici: critica e deride.
Nei primi anni Novanta, in polemica alle posizioni di politica migratoria della Lega Lombarda, forma una squadra di calcio con undici lavoratori senegalesi presenti in Italia. La squadra, che partecipa ad alcuni campionati regionali, si chiama “Forniture sud” (in altri termini “equipaggiamento meridionale”) e sarebbe sponsorizzata dalla fantomatica impresa di trasporti “Rauss”. Cattelan diffonde foto della squadra e relativo gagliardetto. I giocatori indossano la maglietta con il logo rauss, sottolineato dalla freccia che indica uscita: FUORI.
Rauss è l’epiteto con cui i nazisti definivano gli ebrei.
Cattelan denuncia insieme razzismo e respingimenti: inventa una squadra per rivendicare una dignità.
Sono passati più di trent’anni tra le vicende di queste due squadre di calcio: sono i tempi lunghi dell’incontro, per capire cosa sia l’integrazione, per trovare possibilità di andare d’accordo e modi di condividere in armonia la stessa terra.