
“Il termitaio futuro mi spaventa. Odio le virtù dei robot. Io ero fatto per essere giardiniere”. Siamo attorno al 1944. Antoine de Saint-Exupéry scrive a Pierre Dalloz. L’autore del Piccolo principe esprime molto in sintesi la sua spiccata propensione umanistica.
Anche oggi, forse – anzi: soprattutto oggi – mancano i giardinieri.
Ancora Santi-Exupéry, in “Terre des hommes”:
La volpe del deserto (il fennec) si nutre di lumache. Ma “non preleva mai due gusci vicini sullo stesso ramo. E’ come se prendesse coscienza del rischio. Se si nutrisse senza precauzioni, non ci sarebbero più lumache. Ma se non ci fossero più lumache, non si sarebbero più volpi del deserto”.
Si è giudiziosi perché si è sobri. Si è sobri perché, in fondo, si tratta di sopravvivere. Ma capita che non si sopravvive o si rischia di non sopravvivere perché o non si è giudiziosi o non si è sobri.
Philippe Labro, nel suo romanzo “Deux Gimlets sul la 5e avenue”, parla di “perfetta imperfezione” a proposito di Lucas, il protagonista maschile del romanzo.
La “perfetta imperfezione” è una imperfezione lucida, cosciente, che sa di essere.
In questo senso, mi pare che una “perfetta imperfezione” sia comunque e sempre molto meglio di una imperfetta perfezione. Perché la perfezione è – deve essere – cosciente di sé e, di conseguenza, non sente la necessità di andare oltre. Ma è imperfetta, una imperfezione che, prendendosi per perfezione, resta indefinitamente bloccata.