
La Biblioteca Angelo Mai conserva una grande pergamena (misura quasi un metro quadrato) che riporta le indulgenze concesse all’Ordine Ospedaliero di Sant’Antonio.
Si tratta di una copia del documento papale predisposta in Bergamo a divulgazione e memoria di meriti e riconoscimenti acquisiti dagli Ospedalieri nel loro servizio di cura ai malati, soprattutto alle vittime del flagellante herpes zoster, detto fuoco di Sant’Antonio.
La specificazione del santo nella denominazione della malattia deriva dal fatto che l’herpes zoster, come noto, provoca sul corpo pustole brucianti assimilate in antico alle vicende di Antonio Abate – eremita vissuto nel IV secolo – che, secondo tradizione, resistette nel deserto agli insidiosi attacchi del demonio, riportandone dolorose ustioni.
La malattia, drammaticamente endemica già nell’età medievale – aggravata nei ceti più poveri dalla malnutrizione – nei casi più gravi provocava allucinazioni, originate nelle pensiero popolare da demoniache forze maligne; la malattia, considerata pena infernale anticipata inflitta già in vita, diventa “Male degli ardenti” che solo Sant’Antonio ha il potere di trarre dal fuoco eterno.
In effetti la denominazione si origine dalla fama degli Ospedalieri di Sant’Antonio, per la gratuità e la sollecitudine delle loro cure: questo è il significato della pergamena delle indulgenze.
La tipologia del fregio rimanda ai miniatori operanti a Bergamo nella seconda metà del ‘400 – come Jacopo da Balsemo – e la narrazione figurativa ai modi pittorici delle botteghe locati, tra Marinoni e Baschenis.
Nel margine inferiore sono narrati la devozione al Santo, i tormenti del popolo afflitto dall’herpes e il servizio dei confratelli ospedalieri
Sant’Antonio è raffigurato con tunica rossa – come le piaghe del fuoco che cura – e manto nero aperto alla misericordia su uomini a sinistra e donne a destra; davanti razzola il maiale a evocare il suo grasso, al tempo unico sollievo ai tormenti delle piaghe.
A sinistra quattro oblati dell’Ordine ospedaliero trasportano un malato steso sulla lettiga; due uomini si divincolano nei tormenti delle piaghe e tutt’intorno fiamme bruciano come la malattia.
A destra altri afflitti implorano e una mamma regge un infante coperto da pustole.
Il documento appare piuttosto consunto, indizio di destinazione espositiva e ricorrenti consultazioni, come a manifestare gratitudine e certificare servizi, non da conservare in un archivio.
L’antica Bergamo aveva due ospedali dell’Ordine di Sant’Antonio: in contrada di Prato, presso la chiesa omonima – tra i due borghi più popolosi della Città, ora luogo di Palazzo Frizzoni sul Sentierone – e alla porta appunto di Sant’Antonio, detto Sant’Antonio in Foris – all’inizio di borgo Palazzo; verranno soppressi e inglobati nel 1449 nel nuovo ospedale di San Marco, importante servizio pubblico che riunirà, potenziandoli, gli undici ospedali di volontariato diffusi nella Città.
Stante la datazione a fine ‘400 attribuibile alla pergamena, il documento potrebbe essere una sorta di accompagnamento, di accreditamento all’inserimento dell’Ordine – da secoli al servizio dei sofferenti – nei ranghi del nuovo grandioso ospedale con la chiesa dove ancor oggi si celebra la devozione a Sant’Antonio, protettore di uomini e animali.
il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio, la piazza di quello che fu il glorioso ospedale si riempie di bancarelle con i ”bilicocc” – il pasto dei più poveri nei magri mesi di fine inverno – e lungo la via animali e mezzi di trasporto, da tiro o a motore, ricevono la benedizione di Sant’Antonio.
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