Compianto laico dove tutto si ribalta e si rimescola in una narrazione che sovrappone storia a storie, passato e futuro in un compendio di filosofia e arte.
La Fondazione Musei Civici di Venezia, per celebrare i 1600 anni della città (421 – 2021), ha commissionato ad Anselm Kiefer, tra i massimi artisti viventi, un’opera che proponesse una riflessione sulla relazione dell’arte di oggi con l’arte del passato. Nell’opera di Kiefer la riflessione si è estesa al significa della storia e della cultura e ai loro ultimi destini.
Anselm Kiefer (Donaueschingen 1945)
Narrare la storia, in particolare quella scomoda, è l’interesse principale di Anselm Kiefer. Tra i primi nella cultura tedesca, affronta il lutto rimosso del nazismo e lo elabora con originali strumentazioni artistiche che caratterizzano tutto il suo operare, sempre nelle ombre che oscurano le vicende del passato e del presente.
Le sue opere colossali invadono gli spazi, escono da pareti e schemi, come metafore di colpa e dolore, ricerche di espiazione, racconti di lotta e di speranza. Non vi appaiono mai figure umane: dipinge e inventa luoghi dove si consuma la storia con lo sguardo rivolto al futuro.
Nei “Sette palazzi celesti” creati per l’Hangar Bicocca di Milano nel 2004, Kiefer, rappresentando le rovine dell’Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, racconta il tentativo dell’uomo di ascendere al divino accatastando frammenti di distruzione.
Il 20 dicembre 1577 il palazzo Ducale della Serenissima va a fuoco. Nella sala, luogo deputata all’elezione dei Dogi, bruciano opere dei più talentuosi pittori veneziani – Bellini, Vivarini, Carpaccio, Tiziano, Tintoretto, Pordenone – commissionate dal Senato per illustrare il potere di Venezia.
Nel 1582 inizia il restauro della sala; alle pitture delle storie bruciate si sovrappongono nuove immagini di antiche glorie, ma anche prefigurazioni dei “tempi ultimi”, definitivi: dalla battaglia di Lepanto, dipinta da Andrea Vicentino, al Giudizio Universale di Palma il Giovane.
Alla pittura di storia e sugli stucchi dorati voluti dall’orgoglio della Serenissima, con scelta coraggiosamente provocatoria, Anselm Kiefer addossa (transitoriamente), enormi pannelli con accumuli di strati quasi geologici di magma dove fluttuano figure stravolte tra storie passate, vicende presenti e proiezioni nell’ ineluttabile destino della caducità.
E’ tratto dall’opera del filosofo veneziano Andrea Emo (1901- 1983).
Andrea Emo sviluppa in totale isolamento teorie filosofiche che verranno conosciute e diffuse solo dopo la sua morte. Il suo pensiero, radicalmente nichilista, elabora il concetto di negazione, cancellazione e distruzione come fondamento della creazione di nuove esperienze (“se non distruggi non crei”) nella consapevolezza della transitorietà anche del proprio pensiero e della propria opera.
Tutto questo sarà tema ricorrente nella ricerca di Anselm Kiefer.
Il titolo è scritto con incerta grafia, nel primo gigantesco pannello concavo nella sala, atrio all’installazione.
Anche qui gli antichi preziosi dipinti che la decorano sono coperti, quindi negati, da un paesaggio livido brulicante di pali-croci carbonizzati, piantati in file ordinate in prospettiva parabolica. E’ un campo illimitato, senza tempo e memoria, dove sono esclusi uomo e storia, in una natura devastata e oltraggiata.
Su mensole in primo piano sono appoggiati libri bruciati: non fuoco per oscurare idee, come nei “roghi di libri“ della Germania nazista, ma fuoco di un’estrema, forse disperata, ricerca di luce più vera.
Negli immensi pannelli che ricoprono i teleri della sala dello Scrutinio c’è molta storia contemporanea, non raccontata, evocata per simboli in un “oscuro chiarore”: forze cosmiche scatenate, lo sprofondare di Venezia, divise lacere, sommergibili, carrelli della spesa, biciclette, transiti e passaggi di culture tra oriente e occidente, viaggi disperati, echi premonitori allo strazio provocato da ogni guerra, file interminabili di vestiti di una umanità assente, astratta, forse estinta.
Il risultato complessivo è un insieme monumentale di rovine contemporanee.
La narrazione si conclude nella parete sud. Al centro una lunghissima scala in tre pezzi approssimativamente assemblati è la biblica scala di Giacobbe, motivo ricorrente nelle opere di Kiefer, simbolo di ascesa e di evoluzione.
La salita è storta, stretta, instabile, ma punta verso l’alto. Kiefer dice:
L’arte va continuamente avanti e indietro, su e giù per la scala di Giacobbe e, a volte, quando la fortuna le sorride, riesce a scandagliare un abisso inesplorato”.
Ai lati della scala, sopra le due porte d’uscita, sono abbozzate due figure alate e dorate: una apre e alza le braccia al cielo in un inequivocabile gesto di gratitudine, liberazione, gioia; l’altra ostenta la tavolozza del pittore. Tutto si stravolge, ma l’artista resta e consegna all’angelo i suoi colori.
L’opera di Kiefer porta all’estreme conseguenze la riflessione sul potere, sui destini ultimi di uomo e universo: il fuoco giustiziere del potere e del tempo, la transitorietà della storia, negare per rinnovare, l’uomo vecchio e l’uomo nuovo, sono temi sempre ricorrenti nelle culture, celebrate dai cristiani il mercoledì delle ceneri.
Come nel momento culminante del potere papale, nel fasto dell’incoronazione, un monaco si avvicinava al papa reggendo una stoppa incendiata dicendo “sic transit gloria mundi”. Così Kiefer nello splendore del palazzo Ducale, evocativo dei fasti di Salomone, si avvicina all’accidiosa sicumera della cultura contemporanea testimoniando un tempo che ci sta precipitando addosso.