In questi giorni si celebrerà l’Anniversario dei quarant’anni della canzone “Vita Spericolata” di Vasco Rossi. Già stanno girando in rete vari commenti molti dei quali sottolineano come questa canzone abbia segnato una generazione. Anche la mia. Ero adolescente al tempo e ricordo uno dei primi concerti di Vasco Rossi davanti a poche miglialia di persone sul piazzale di quella che fu la Città Mercato, uno dei primi grandi supermercati di Bergamo.
Eravamo all’inizio di quegli anni ’80, quelli di un piccolo boom economico, quelli che qualcuno definì “dell’edonismo reganiano”. Quello dei paninari, gli anni in cui si cominciava in modo più diffuso a compare il superfluo.
Vita Spericolata rappresentava per molti quell’anima ribelle che non vuole adattarsi alle comodità e alla mediocrità. Tipico di un ardore giovanile.
E’ passata tanta acqua sotto i ponti, oggi quello del 1983 è un mondo totalmente diverso sotto l’aspetto geopolitico, economico e sociologico. E Vasco Rossi lo ritroviamo cantando, “io e te, seduti sul divano…”.
Crescendo ho scoperto un’altra “Vita Spericolata”, quella di cui parla San Paolo quando in un passaggio della Lettera ai Corinti (2 Cor. 11) è costretto ad esporre una specie di “biografia” che si può leggere in parallelo alla canzone di Vasco Rossi:
In polemica con quanti ne contestano la sua autorevolezza come apostolo lui dice di essere più di loro…
Molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte, Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi (bastonate); tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde, Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità
Ben più “spericolata” di quella cantata dal Vasco: “Voglio una vita che non è mai tardi, …di quelle che non dormi mai. Voglio una vita di quelle che non si sa mai. Voglio una vita spericolata, voglio una vita come quelle dei film, voglio una vita esagerata… Voglio una vita, la voglio piena di guai”.
Quanto più concretamente è stata spericolata e piena di guai quella di Paolo! Ma soprattutto c’è una grande differenza che per me è stato fondamentale come modello di vita di riferimento. Vasco canta una vita i cui: “ognuno – a bere da solo al Roxy Bar – in fondo perso dentro i fatti suoi, ognuno a rincorrere i suoi guai” che mi parla di una certa solitudine, di un ripiegamento autoreferenziale su di sé che si concretizza nel verso finale: “Voglio una vita che se ne frega, che se ne frega di tutto sì”.
Ecco una vita spericolata dovuta ad un ripiegamento su di sé ed un atteggiamento di disinteresse e di non coinvolgimento nei confronti della vita, degli altri, delle ingiustizie del mondo.
Esattamente il contrario del motivo per cui Paolo vive una vita spericolata: “Il mio assillo quotidiano per le diverse comunità”, per il pensiero di poter aiutare al meglio i membri delle diverse comunità che aveva incontrato… la cui sintesi si può trovare nell’espressione nella prima lettera ai Corinti: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9, 22).
Una vita spericolata a motivo dell’impegno per il bene degli altri, per un mondo più giusto, per liberare gli uomini dalle diverse schiavitù, egoismi e paure con l’annuncio della Buona Notizia. Come don Puglisi, come Borsellino, come don Bepo, come tante persone che nella propria quotidianità nascosta vivono tanti sacrifici per amore e per una società più giusta e solidale.
Questa è la Vita Spericolata che ha senso per me. E che i cristiani dovrebbero riscoprire per vincere la tentazione dell’adattamento, del perbenismo, del moralismo, del quieto vivere, del non compromettersi troppo, del non far fatica.