
Mosaico sull’imposta sinistra dell’arco trionfale. Il Mosaico, interpretando i testi dei padri della Chiesa, raffigura tre momenti testamentari di epifania:
l’arrivo dei Magi (Mt 2-1):
“…Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano…”;
Abramo che legittima Melchisedech come sacerdote del Dio Altissimo (Gn 14,20) ;
“…e benedetto sia il Dio altissimo / Che ti ha messo in mano i tuoi nemici / …e Abramo gli diede la decima di tutto”;
la regina di Saba che riconosce la saggezza di Salomone (1Re 10,10):
“Essa diede al re centoventi talenti d’oro, aromi e pietre preziose.
Non arrivarono mai tanti aromi quanti ne portò la regina di Saba a Salomone.”
La stella brilla al centro a certificare Cristo, già adolescente, in veste di re seduto sul trono gemmato, assistito da quattro angeli.
Tre personaggi vestono – pittoreschi, stravaganti – abiti di paesi lontani; quello a sinistra addita la stella, i due a destra portano doni. Maria in trono, a lato, osserva come per capire; a destra la Gerusalemme celeste; a sinistra Abramo e la regina di Saba.
Il Vangelo di Matteo (2, 1-12), anche i successivi vangeli apocrifi, raccontano i Magi in modo vago: non vengono definiti re e non viene specificato il loro numero.
Dal Vangelo di Matteo si deduce che sono Saggi, che seguono le stelle, ascoltano in sogno gli avvisi degli angeli e tornano “…per un’altra strada ai loro paesi”.
Sarà la successiva tradizione ad arricchire la venuta dei Magi alla capanna di Betlemme con particolari densi di significati evocativi del mistero del divino che si fa uomo.
Nella tradizione più antica i Magi diventano re di terre misteriose che arrivano in corteo spettacolare, come nei rilievi degli archi dei trionfi romani dove i barbari portano tributi all’imperatore.
I Magi diventano tre perché nel testo evangelico si dice che furono offerti a Gesù tre doni simbolici: oro per regalità, incenso per divinità, mirra per passione.
A partire dal IX secolo si precisano anche i loro nomi, Gasparre, Melchiorre e Baldassarre; si definisce l’età – uno vecchio, uno in età matura, uno giovane – e la provenienza dai tre angoli del mondo allora conosciuto – Asia, Africa, Europa.
Da Pseudo Dionigi (secolo VI – ripreso dalla patristica):
…se vuoi celebrare la gloria di queste porte, non ammirare né il bronzo né la spesa, ma il lavoro dell’opera…l’opera che nobilmente riluce illumina le menti per modo che esse possano procedere, attraverso vere luci, alla luce vera dove Cristo è la vera porta… la cieca mente si innalza al vero attraverso ciò che è materia e da oscurata che era si leva a vedere questa luce.
1180 – Bonanno Pisano – L’arrivo dei Magi
(illustrati i Magi con i loro nomi: uno vecchio, uno in età matura, uno giovane)
Poco tempo dopo lo stesso Bonanno – fonditore – allestisce le ante in bronzo per il duomo di Pisa.
La formella dell’Epifania è preceduta – come in una sequenza di scrittura – dalla scena della Natività con l’annuncio ai pastori e il bagno al nascituro
1185 – Bonanno Pisano – Epifania
Sotto la collina che i Magi salgono a cavallo – in una sorta di grotta in avvicinamento alla grotta della natività – Bonanno illustra il Peccato originale e la cacciata dal paradiso: l’espulsione dell’uomo dalla presenza divina viene rovesciata dai Magi alla ricerca del Dio venuto nel mondo. Adamo ed Eva, espulsi, voltano le spalle alla Natività e Adamo porta già in spalla la zappa della fatica e del dolore; i Magi all’opposto vanno nella direzione della grotta.
1430/’50 – Beato Angelico e Filippo Lippi – Adorazione dei Magi
(detta Tondo Cock dal nome del donatore)
Il dipinto, appartenuto a Lorenzo il Magnifico – all’origine forse destinata a desco da parto (vassoio per la partoriente) per una nascita particolarmente illustre – fu iniziato da Beato Angelico e ultimato dopo ben vent’anni da Filippo Lippi.
Un corteo è partito da un orizzonte lontano; costeggia le mura di una città e il popolo accorre alle porte per ammirarne il passaggio: è una scena di massa orchestrata intorno a un paesaggio visto a volo d’uccello.
Il corteo supera una montagna rocciosa, attraversa la porta di una grigia città in rovina e arriva a un prato fiorito, custodito da un levriero.
Due re sono già inginocchiati ai piedi del Bambino, il terzo sopraggiunge a cavallo; anche dei laceri pastori guardano cercando di capire cosa avviene.
Sui ruderi del palazzo in rovina, simbolo di un mondo caduco, è stata ricavata una stalla; sul tetto, al centro dell’intera narrazione, si appoggia un pavone, simbolo di immortalità ed epifania della bellezza del creato.
Sullo stesso tetto c’è anche un fagiano che, come da tradizione, con la sua mite presenza, annuncia il cambiamento e che tutto verrà trasformato in meglio; un rapace però lo assale: violenza e sopraffazione non sono ancora vinte.
Cinque uomini ignudi faticosamente escono dalle rovine, guardano e aspettano; sono l’immagine di quanto scriverà Paolo:
…spogliatevi dall’uomo vecchio…rivestitevi dell’uomo nuovo… (Ef 4,22-24).
Gli stallieri intanto strigliano i cavalli per preparare il ritorno dei saggi alle loro terre.
1497- Andrea Mantegna – Adorazione dei Magi
Al centro il Bambino – già avvolto nei drappeggi di un panno bianco, icona del futuro sudario – è contemplato da cinque volti di diverse, differenti etnie, immagini di tutta l’umanità del mondo.
Dallo sfondo scuro e dalle figure a mezzo busto – spinte in primo piano come negli antichi rilievi funebri dell’età classica – emerge un solenne, silenzioso rimando di guardi sospesi tra contemplazione, meditazione, stupore, adorazione.
…videro il bambino con Maria sua madre, e prostrati lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni… (Mt 2, 10-11)
1505 – Giorgione – I tre filosofi
L’enigmatica scena – fantasiosamente interpretata nella storia critica, da sempre considerata grande capolavoro – nel 1525 a Venezia viene descritta: “…tre phylosophi nel paese, dui riti ed uno sentado che contempla li raggi solari cun quel saxo finto così mirabilmente…”. ll “saxo finto così mirabilmente” sarebbe la roccia scheggiata a piedistallo dei filosofi dipinta come materia trasfigurata che emana luce; il “paese” è il luogo dove i raggi del sole danno vita alle cose, armonia al creato e penombra alla grotta, in un’atmosfera di attesa e di risveglio: è il sentire panteista, il divino nelle cose del mondo.
Tre uomini sono in contemplazione della natura, cercano la luce: quello seduto tiene in mano squadra e compasso; l’anziano srotola un papiro con le rotte delle stelle. Simboli di tre diverse civiltà, di tre fasi della vita, sono sapienti che cercano, meditano e aspettano dirimpetto ad un antro scuro: “Alcuni Magi giunsero da oriente…e domandavano: Dov’è …” (Mt 2 1)
L’Epifania diventa attesa, ricerca di verità nelle nuove vie di libertà per il pensiero.
1515 – Bramantino – Adorazione dei Magi
“Adorazione dei Magi”, con enigmi.
La scena si svolge nell’atrio di un palazzo classico in rovina, la fuga di sale è invasa da arbusti selvatici che si insinuano tra i soffitti crollati. La porta sfondata si apre su cime rocciose e aspre come a dire che la natura vinca anche sulle più raffinate opere dell’uomo.
Dal soffitto sfondato dell’atrio entra la luce che, lasciando in ombra la parte sinistra della scena, investe Maria in trono col Bambino indicato, ai lati, dai gesti dei due profeti.
Due personaggi – uno giovane a destra, l’altro anziano a sinistra – offrono vasi monumentali: l’atmosfera è solenne, muta e sospesa. Oggetti arcani di colori surreali sono posati sul pavimento in piena luce e in ordine stereometrico: sono offerte, o vasi lustrali, o sarcofaghi…? Sono vuoti: cosa li può riempire?
Ci sono anche due pietre cubiche, una fa da poggiapiedi a Maria; riportano caratteri vagamente orientali, indecifrabili.
(in anticipo di mezzo millennio)
1482 – Leonardo – Adorazione dei Magi
Opera allo stato di abbozzo che non poteva essere compiuta; è come un’intuizione.
Leonardo racconta tutto, soprattutto un senso di stupefacente attesa in un mondo provvisorio, incompiuto. Anticipa quello che sarà il libero arbitrio: volti sorpresi, curiosi, perplessi, indifferenti, devoti; c’è chi si prostra, chi copre gli occhi per la troppa luce, chi ignora, chi studia.
Evoca la fragilità della cultura: gli scaloni monumentali finiscono nel vuoto; allude alla vacuità della storia: guerra come torneo equestre. La natura, immota, resta solenne: la palma e il leccio scandiscono lo spazio.
Unico punto fermo al centro, luminosa e trasparente, è Maria che contempla il suo Bambino; intorno folla sorpresa e sconvolta dall’annuncio della Pasqua.