don Sergio e la passione per l’arte liturgica

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A don Sergio l’arte piaceva, e tanto. Ed è riuscito a farla piacere a molti. Aveva tanti libri di arte, era abbonato alle riviste francesi “Chronique d’art sacré” e “Arts sacrés”.

Non sapeva per niente disegnare, ma aveva un hobby particolare: dedicava in media quasi 20 ore mensili all’impaginazione di Comunità Redona, affiancandosi  al lavoro dell’impaginatore titolare, che gli aveva trasmesso questa passione. Ogni numero del giornale avrebbe potuto essere firmato da loro due come opera creativa: “Adesso è tutto a posto”. E’ così che ogni artista  firma e congeda ogni sua opera.

L’arte vera deve “entrare in chiesa”

Nell’umile esercizio di questo lavoro, che arrivava a “gasarlo”, Don Sergio  nascondeva un grande sogno. Egli soffriva  che l’arte “dentro” lo spazio sacro e l’arte “fuori” camminassero per strade diverse. Questo è uno degli aspetti che fan vedere quanto la chiesa da tempo faccia fatica a cantare autenticamente l’uomo, mentre l’arte, fuori chiesa, è libera di esprimere la bellezza e la fatica del vivere, la grandezza  e la miseria dell’uomo.

Don Sergio è della razza di quei pastori che hanno tentato e tentano (magari anche inciampando un po’) di far rientrare in chiesa la vera arte, di comprendere come l’umano, in tutto il suo mistero, possa stare  davanti al divino. Un giorno (siamo nel 1988) don Sergio riceve da un amico missionario la richiesta di una riproduzione fotografica abbastanza grande del Crocifisso di Grünewald, pittore  tedesco, contemporaneo di Lutero. “Mi serve nella mia camera per sopportare un po’, specie la notte, il pensiero della fame  e della miseria della mia gente”. La richiesta è stata esaudita.

La Crocifissione di Matthias Grünewald (1480-1528) costituisce uno dei pannelli centrali dell’Altare di Isenheim conservato nel Musée d’Unterlinden a Colmar

Il dramma mirabile del crocifisso di Grünewald

Ma la visione di quel Crocifisso, contemplato a lungo, ha scioccato e affascinato don Sergio. L’ha indagato in profondità, documentandosi  sul pittore e sul suo tempo. Forme e colori, figure e ambientazioni erano pane squisito per la sua sensibilità. Don Sergio era bravo a trovare le parole giuste per dire che cosa provava. E soprattutto sentiva il venirgli incontro degli eterni riferimenti della spiritualità cristiana: il Vangelo della Pasqua di Gesù, la tragica storia degli uomini , la passione incerta per la vita chiamata alla fede.  E sentì che tutto questo poteva diventare preghiera. Propose al gruppo, che da anni  e mensilmente faceva un ritiro pomeridiano di tre ore, di tentare preghiera e riflessione in compagnia del polittico di Grünewald. Campo nuovo che veniva ad aggiungersi agli altri percorsi, su brani della bibbia, temi di spiritualità , vita di santi.

E poi venne la voglia di andare a vederlo, approfittando dei viaggi che la parrocchia organizzava ogni due anni. Fu l’occasione di vedere la più bella chiesa contemporanea, quella di Le Courbusier e la cattedrale di Strasburgo. Davanti al polittico stettero tre ore. Nel pomeriggio i più visitarono, come da programma, la graziosissima Colmar, alcuni invece tornarono al polittico.

I sacchi bruciacchiati di Alberto Burri

Questi viaggi contenevano sempre anche qualcosa di importante per l’arte, anche se la meta era altra. E, con cadenza almeno annuale,  su Comunità Redona non è mai mancato un approfondimento su un artista significativo. Qualche volta questo compito lo affidava a qualcun altro. Sempre arte figurativa? Don Sergio confessava candidamente di preferirla, ma ha stupito tutti, quando la meta di un viaggio breve fu Città di Castello per vedere le opere di Alberto Burri, pura opera di informale materico, che va oltre la stessa arte astratta. Lì don Sergio la fece da mattatore, facendo innamorare tutti di quei sacchi bruciacchiati e colorati.

Se qualcuno mi chiedesse quale era l’artista da lui  preferito, io direi Rembrandt. Quante volte lo si è visto su Comunità Redona, specie con le incisioni e le acqueforti. Non erano illustrazioni didattiche o decorazioniErano parte integrante del tema trattato; erano finestre tenute aperte su profondità impensate e mai esaurite. Parola e immagine erano in gara tra loro.

Il Cristo crocifisso e i poveri cristi che siamo noi

Certo: il soggetto più ricorrente era il Crocifisso, morto e risorto. E mai il crocifisso senza quel povero cristo che siamo noi, gioie e speranze comprese.  Nel 1995 don Sergio inventò il martedì santo dedicato all’arte. Nei primi anni queste mostre nella chiesetta minore esplicitamente ruotavano al messaggio centrale del Vangelo; facevano venir la voglia di Triduo santo. Parole e musica accompagnavano le suggestioni delle opere esposte.

Ma poi i temi variarono, e, scavando, sentivamo sempre qualche parentela con il mistero dei misteri. Perfino le opere dei ragazzi, affetti da fragilità psichica, dell’Atelier dell’Errore riuscivano ad andare  verso il grande mistero partecipandoci qualcosa della  Divina Dolcezza.  A parte quest’ultima mostra, in cui l’Atelier di Reggio Emilia era presente , oltre che con le opere dei ragazzi, con la figura del suo ideatore, tutti gli altri artisti erano bergamaschi o comunque attivi nel nostro territorio. Tutti hanno incontrato l’umanità di don Sergio  e la sua fede. Nessuno si è snaturalizzato o si è messo al servizio di un’idea. Hanno incrociato le loro strade, hanno fatto conoscere il loro studio, hanno messo in comune la propria sensibilità.

“Frammenti per una crocifissione”

Un anno la mostra prese il titolo di “Frammenti per una crocifissione”. Uno dei frammenti era gigantesco, misurava 20 metri in lunghezza e 2,40 in altezza. In nessun’opera c’era il Crocifisso. L’artista stesso confessava di non essere mai riuscito a fare un crocifisso: “Ho tentato, ma ho sempre fallito”. Ma davanti alle sue opere in esposizione tutte quelle forme dipinte sembravano miniature della crocifissione. Sembravano impresse su una sindone, sembravano state impresse a Dachau, dove l’umanità ha vissuto uno dei moment più tragici della sua storia, dove l’uomo rischia di allontanarsi per sempre da un Dio che l’ha deluso e non ha fatto niente di fronte alla barbarie e al dolore innocente, o dove il cuore viene trafitto e convertito  dalla discrezione e dal pianto di un Dio che vive solo per l’uomo.

Ma la risposta a questo enigma la si può dare solo nella libertà. Avviene nei segreti del cuore e nell’incontro con il fratello. E’ ciò che i cristiani celebrano nella loro Pasqua. L’arte ci apre allo stupore e alle emozioni. Non è suo compito rispondere a domande. Essa si limita  a farti scendere nel profondo: al mistero e all’enigma della presenza dell’uomo al mondo. Di queste mostre (don Sergio ne ha vissute 19, ma la serie continua tuttora), ricche di confidenze, riflessioni, musica e silenzi, sono rimaste delle fotografie e dei begli articoli sul giornale della comunità. Ma è rimasta traccia viva in chi in esse è stato colto dallo stupore e, in particolare, in chi vi ha collaborato.

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