
Apri la bocca in favore del muto, per la causa di tutti gli sventurati. Difendi il debole e il bisognoso, fa’ giustizia al povero e all’indigente (Proverbi 31,8-9)
In un tempo in cui il cristianesimo viene strumentalizzato dalle destre mondiali per giustificare ideologie escludenti e oppressive, Papa Francesco si erge come una figura provvidenziale, un faro nella tempesta, capace di riportare la Chiesa all’essenza evangelica del messaggio di Gesù Cristo: la liberazione dei poveri, l’inclusione dei marginalizzati, la pace tra i popoli.
In un momento storico in cui l’umanità sembra nuovamente attraversata da tensioni razziali, sociali, economiche e religiose, la voce del Papa argentino risuona come quella di un profeta contemporaneo, chiamato non solo a guidare i cattolici, ma a testimoniare il volto misericordioso e radicalmente umano di Dio.
Importanti capi di stato hanno negli ultimi anni compiuto un’operazione sottile ma pericolosa: il recupero di simboli cristiani – croci, Madonne, Bibbie – come strumenti di legittimazione di politiche nazionaliste, xenofobe e classiste. Non è un fenomeno nuovo: le religioni sono state spesso usate per consolidare il potere e giustificare la violenza. Ma la strumentalizzazione in Occidente del cristianesimo in chiave identitaria, in un mondo globalizzato e fragile, assume oggi un carattere ancora più insidioso.
Papa Francesco si è posto fin dall’inizio del suo pontificato come argine a questa deriva. Non solo con gesti simbolici – la scelta del nome Francesco, la rinuncia agli orpelli papali, gli incontri con migranti e detenuti – ma anche con parole chiare. “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (Evangelii Gaudium, 49).
È una dichiarazione di guerra all’autoreferenzialità ecclesiale, alla tentazione del potere e della distanza dai bisogni reali delle persone.
Disse loro: Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri! (Marco, 11,17)
Il pensiero di Papa Francesco ha consentito una riconciliazione con la teologia della liberazione, a differenza dei pontefici precedenti. Nel suo libro Gesù Cristo liberatore, l’esponente della teologia della liberazione Jon Sobrino afferma che la vera cristologia non può prescindere dal grido dei poveri: “Gesù non è solo il Redentore, ma il Liberatore. Non salva solo le anime, ma le persone nella loro interezza storica e concreta”.
Questa visione rivoluzionaria, spesso guardata con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche, è oggi più che mai attuale. In un mondo segnato dall’ingiustizia strutturale, da un capitalismo selvaggio che produce scarti e non sviluppo, la figura di Gesù come liberatore si impone con forza.
Francesco ha fatto sue queste intuizioni. Il suo magistero sociale, da Laudato Si’ a Fratelli Tutti, insiste su un’ecologia integrale che tiene insieme ambiente, economia, giustizia e pace. È una teologia incarnata, profondamente politica nel senso evangelico del termine: una politica dell’incontro, della compassione, della giustizia, in linea con l’esortazione all’amore radicale e alla coerenza del “prete guerrigliero” Padre Camilo Torres, secondo cui, affinché questo amore sia vero, esso ha il dovere di impegnarsi a essere efficace.
Se la beneficenza, l’elemosina, le poche scuole gratuite, i pochi piani edilizi, ciò che viene chiamato “la carità,” non riesce a sfamare la stragrande maggioranza degli affamati, né a vestire la maggioranza degli ignudi, né ad insegnare alla maggioranza di coloro che non sanno, bisogna cercare mezzi efficaci per dare tale benessere alle maggioranze. E questi mezzi non li cercheranno di certo le minoranze privilegiate che detengono il potere, perché generalmente i mezzi efficaci obbligano le minoranze a sacrificare i propri privilegi (Messaggio ai Cristiani, Padre Camilo Torres)
Lungi dall’essere una moda ideologica, la “Chiesa dei poveri” ha le sue radici più profonde nel Vangelo. È Gesù stesso a dichiarare la sua missione in questi termini:
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore (Luca, 4, 18-19)
Mentre, a chi cerca potere e ricchezza, dice:
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame” (Luca 6,24-25)
L’intera predicazione di Gesù è un ribaltamento delle logiche mondane: i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi (cfr Matteo 20,16). Questo sovvertimento radicale – che oggi suona quasi blasfemo alle orecchie di molti cristiani “di potere” – è il cuore del messaggio evangelico.
E Papa Francesco non ha fatto altro che riproporlo con forza, in una Chiesa spesso tentata dalla nostalgia per la centralità perduta, per i privilegi, per il controllo.
Anche il filosofo Giulio Girardi, in Marxismo e Cristianesimo, ha sottolineato l’affinità profonda tra il Vangelo e l’anelito marxista alla giustizia. Pur distinguendo i piani – la salvezza in Cristo non si identifica perfettamente con la società ideale marxista – Girardi riconosce nel cristianesimo autentico una tensione verso la liberazione degli oppressi: “Il cristianesimo, come il marxismo, denuncia le ingiustizie della storia, rifiuta l’oppressione dell’uomo sull’uomo, e anela a un mondo riconciliato.”
È interessante notare come Papa Francesco sia stato accusato più volte, da ambienti conservatori, di essere “comunista”. Ma la verità è che Francesco è semplicemente e autenticamente evangelico. In un sistema che divinizza il denaro e scarta i deboli, chi parla di dignità, solidarietà e bene comune appare inevitabilmente “sovversivo”.
In seguito alla scomparsa di Papa Francesco, e a pochi giorni dal conclave, siamo in un momento quantomeno decisivo. Dopo Francesco, la Chiesa potrebbe intraprendere una strada di conciliazione con le politiche dei leader mondiali, magari camuffata da “ritorno alla tradizione”, ma che significherebbe il tradimento del Vangelo degli ultimi. Come ha scritto Sobrino, “la Chiesa non può essere neutrale di fronte all’ingiustizia. Tacere di fronte alla sofferenza è tradire Cristo”.
C’è bisogno di una figura che continui l’opera di Francesco. Che sappia leggere i segni dei tempi, stare nelle periferie del mondo, ascoltare il grido della terra e dei poveri. Una figura che non chiuda la Chiesa nei palazzi vaticani, ma la spinga ancora una volta verso le strade, le carceri, le favelas, i campi profughi, i confini dimenticati.
La Chiesa di oggi è davanti a una grande sfida identitaria: conciliare la sua complessa esistenza tra il ritorno al Vangelo iniziato da Papa Francesco, e l’inevitabile presenza nel palcoscenico del potere mondano e mondiale. In un mondo che ha fame di giustizia, di verità e di speranza, la testimonianza di Bergoglio è stata un dono provvidenziale. E, proprio per questo, la sua eredità va custodita, difesa e rilanciata. Perché, come diceva San Giovanni Paolo II, “la Chiesa non può mai dimenticare che la sua missione è quella di servire, non di dominare”.
E come ci ricorda il Vangelo, alla fine dei tempi non saremo giudicati dalle nostre dottrine, ma da come avremo trattato i più piccoli:
Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Matteo 25,40)
“Sono ateo”
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