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Sono seduta, anonimamente, in attesa della Messa in quella che fino alla morte di mio marito a trent’anni,  è stata la mia parrocchia. Dopo essermi allontanata per anni dalla Chiesa, ora  mi guardo intorno e tutto mi sembra così estraneo.

Bastava uno sguardo

Sull’altare tre preti che non conosco e, quasi rassegnata a qualcosa che sembra non appartenermi più, mi predispongo all’ascolto. Al momento dell’offertorio, nessuno si muove e, con l’istinto che mi appartiene, mi alzo e vado a raccogliere le offerte. Niente di particolare.

Di particolare c’è che la settimana successiva, sempre lì, alla fine  della messa un prete mi si avvicina: “Buona sera, sono don Sergio, Parroco di questa comunità”. Mi chiede come mi chiamo, dove abito, dopo di che mi domanda se fossi stata disposta a dare una mano nel servizio alla  liturgia. E’ bastato uno sguardo su un piccolo gesto della settimana precedente, per intravvedere in me forse una nostalgia, forse un desiderio, forse una passione che avrei scoperto solo negli anni a venire

Uno sguardo che andava “oltre” i nomi o le storie. Per lui importanti erano le persone.

Questo era don Sergio

Era felice di veder crescere le persone

Io ho frequentato una scuola professionale quindi, quanto a cultura, poca roba. Collaborando con don Sergio, era impossibile tornare a casa senza avere imparato qualcosa. Ricordo più di un episodio a  questo proposito. Negli anni, ho collaborato con lui con un impegno apparentemente non importante, che io scherzosamente  chiamavo “manovalanza”. Scrivevo a macchina (allora non c’erano i computer) per Comunità Redona i  suoi testi, prima di mandarli in stampa. Aveva una bella calligrafia, esteticamente, ma difficile da leggere.

Una volta scrissi una parola storpiata, non esatta, e lui, invece di limitarsi a correggerla mi chiamò invitandomi ad andare in studio da lui. Mi fece sedere e, con la pazienza e l’entusiasmo di vedere lo stupore negli occhi di chi lo ascoltava, mi spiegò tutto sulla  parola “iconoclasta” e sull’iconoclastia. Parole che ho scritto male perché non ne conoscevo il significato.

Un uomo felice di veder crescere  le persone che aveva davanti.

Questo era don Sergio

Terra Santa, Orto degli ulivi. Quella notte piansi parecchio

Nel 1984 ho partecipato con don Sergio a un pellegrinaggio in Terra Santa. Un’occasione unica. E miracolosa. Sono partita. L’ultima sera di questo viaggio, eravamo all’Orto degli Ulivi, don Sergio propose ad ognuno dei partecipanti di condividere con tutti  che cosa aveva significato per il proprio cammino di fede quella esperienza.  Quasi tutti concordi nel dire che l’incontro con quel Gesù così vicino e così umano aveva arricchito la loro fede. Io, come mi succede sempre, insicura e un po’ trepidante, espressi il mio parere. Un po’ come una voce fuori dal coro dissi che sarei tornata a casa molto dubbiosa e molto impaurita.

Quel Gesù lì, troppo umano,  non mi piaceva e avrei dovuto ricominciare tutto da capo un cammino di fede che credevo già a buon punto. Quella notte piansi parecchio. La mia compagna di camera  raccontò a don Sergio delle mie lacrime e delle mie paure. Lui, con un sorriso quasi ironico, si limitò a dire che non erano importanti le mie lacrime, ma il fatto che avevo colto a fondo il significato di tutto il viaggio. Mi sono sentita lusingata e felice. 

Un uomo capace di far emergere l’autostima nelle persone

Questo era don Sergio

Un regalo: le scarpe da calcio e la partita con i ragazzi

 Il 20 ottobre, non ricordo di quale anno, uno dei tanti compleanni di don Sergio vissuti in comunità, come ero solita fare, gli portai il mio pensiero augurale. Prima di decidere cosa gli avrei regalato ci ho pensato tanto. Sembrava sempre non avesse bisogno di niente e, conoscendolo era anche vero. Non so come, mi venne un’idea legata alla sua passione per il gioco del calcio. Gli regalai un paio di scarpe da calcio.

Cosa ne avrebbe fatto non lo so. Uno come lui, con la testa sempre tra i libri probabilmente le avrebbe messe in un armadio come ricordo. Arrivata  in casa parrocchiale, ansiosa e un po’ timorosa aspettai che scendesse dal suo studio per consegnargli il mio regalo. Mi salutò e con la fretta di chi non vuole perdere tempo, ma nello stesso tempo, curioso di vederne il contenuto, scartò il pacchetto e viste le scarpe, non disse una parola. Continuava a guardarle incredulo e a guardare me. Mi sembrò anche di vedere i suoi occhi più lucidi del solito. Era felice, stupito davanti a un dono inaspettato. Il pomeriggio stesso, era nel “sabbio”, (così si chiamava il campo sportivo dell’oratorio), a giocare con i ragazzi con le sue scarpe  nuove da calciatore.

Un uomo capace di ritornare bambino, di emozionarsi e di vivere come ogni uomo una passione.

Questo era don Sergio

Una visita inaspettata, alle 10 di sera

C’é un temporale Sono già in pigiama, mia figlia dorme in camera sua, sono quasi le dieci di sera e sto preparando l’incontro di catechismo  del giorno dopo.  Non lo sento subito,  anche perché non aspetto nessuno, ma il citofono è suonato davvero.  Tra l’impaurito, il sospettoso e il curioso chiedo “chi è?”.  “Sono io, don Sergio. Dai apra che mi sto bagnando tutto”.  Sorrido, mi agito anche perché non è mai venuto a casa mia e, nel tempo che avrebbe impiegato a fare i tre piani a piedi per arrivare al mio appartamento… La casa è in ordine? Adesso cosa gli offro? Cosa vorrà? E intanto apro la porta.

Ha in mano un un calice per la messa. Nel frattempo si è seduto e io non so cosa dire. “Le piace?” mi chiede.  No,  non mi piaceva molto. Ma dovevo rispondere. Secondo me lui aveva già un suo parere. Allora ecco  la mia risposta: “Mica tanto”.  “Mi faccia una camomilla che ho preso freddo”. La preparo, la beve e mi dice : “Avevo bisogno di un parere che confermasse la mia perplessità.  Buona notte e grazie”.

Un uomo facile agli entusiasmi, sicuro di sé, disponibile al confronto che,  però, spesso confermava ciò che aveva già deciso. 

Anche questo era don Sergio… e molto altro.

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