Il Papa, Gesù bambino, la kefiah palestinese

L’infinito l’ha scritto Gabriele D’Annunzio
Dicembre 10, 2024
Il Papa visita un presepe “palestinese” e prega davanti alla Crocifissione bianca di Chagall.
Il Natale viene sempre raccontato “a modo nostro”.
Tutte le narrazioni del Natale sono lecite, a condizione che se ne salvi il “cuore”

Il Papa davanti a un presepe molto particolare

Leggo dal sito del Corriere che commenta una foto che ritrae papa Francesco che prega davanti a un Gesù bambino, adagiato in una mangiatoia coperta da una kefiah, il tradizionale copricapo palestinese.  “L’immagine di Francesco che prega davanti a un presepe arrivato da Betlemme nel quale Gesù Bambino è posato nella mangiatoia su una kefiah palestinese.

E, l’indomani, il Papa assorto davanti al quadro che più ama, la Crocifissione bianca che Marc Chagall dipinse all’indomani della Notte dei cristalli, le violenze antisemite scatenate dai nazisti in Germania tra il 9 e il 10 novembre 1938, il Cristo crocifisso con i fianchi fasciati da un tallèd, lo scialle da preghiera ebraica, sullo sfondo dei pogrom secolari patiti dal suo popolo. Nel tempo dei social, le due immagini rimbalzano da giorni sui social, scisse e isolate dal contesto, tra polemiche e proteste contrapposte”.

Il Natale è sempre “a casa nostra”

Questa la notizia. E’ una notizia “natalizia”. Come natalizie sono le polemiche che nascono da una domanda provocatoria che è classica a Natale: come nascerebbe oggi Gesù e dove? Le polemiche sono segnate dalla distanza fra quello che è successo allora e quello che succede oggi. E soprattutto dalla distanza fra il poco che sappiamo di allora e il molto che sappiamo di oggi. Di allora, del Natale di Gesù sappiamo poco. Sappiamo che è nato, certo, sappiamo qualcosa dei genitori, Maria e Giuseppe, del luogo, Betlemme. Dei particolari dell’evento sappiamo pochissimo. Come noto, Luca racconta di Maria che “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e le pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. Di che alloggio si tratti non si sa. Ma il vuoto del racconto evangelico è diventato, da sempre, il pretesto esemplare per essere riempito dal “pieno” dei racconti nostri. E i racconti nostri di questi giorni parlano ancora di guerra, in Israele, a Gaza, nel Libano, in Siria. E così il Natale, oggi come sempre, si colora di tutti i colori del mondo, il Bambino nasce dappertutto, prende le fattezze degli uomini di tutti i continenti. 

La “differenza” del Natale credente

Era inevitabile che, anche quest’anno, il Natale dovesse fare i conti con l’attualità di cui quotidianamente si parla. Così le notizie che riguardano papa Francesco riferiscono di una oscillazione tra un Natale “palestinese” e un Calvario ebraico, mediato, questo, dallo straordinario capolavoro della “Crocifissione bianca” di Chagall. 

Mi viene spontaneo di reagire da credente a questa differenza. Gli uomini, sempre ma, forse, un po’ di più oggi, usano i simboli religiosi per dare forza alle loro passioni umane. Se anche Gesù nasce palestinese la causa dei Palestinesi viene grandemente esaltata. Se anche Gesù muore ebreo, la causa degli Ebrei viene raccontata con molta più enfasi. Il credente, in tutto questo, si limita a dire una cosa semplice e impegnativa: che si può accettare tutto, solo a una condizione: che quel Bambino sia davvero “disceso dal cielo”. Anzi: è proprio quella origine celeste da offre un fondamento a tutte le appropriazioni terrestri. 

Siamo lontani dal Natale, ma stiamo già chiedendoci – meglio: la cronaca ci costringe a chiederci – chi è quel Bambino e che cosa significa, per noi, la sua nascita. 

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