Il Nazaret di Gesù e il nostro Nazaret

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Il Nazaret di Gesù e il nostro Nazaret

Gesù non viene accolto nel suo villaggio di Nazaret. Lo cacciano fuori. Anche noi abbiamo cacciato fuori Dio dalle nostre città. I nostri antichi linguaggi, della teologia e della stessa liturgia, non “parlano” più

“Lo cacciarono fuori dalla città”

A Nazaret Gesù, là dove ha vissuto per 30 anni, non è accolto. “Lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero sul ciglio del monte, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (Lc 4,29-30).

A Nazaret, come oggi nel nostro mondo, Gesù è rifiutato, o, ancor peggio, ignorato.

Non c’è spazio per la novità, per la gratuità, per la libertà della grazia.

Il lievito è marcito. Il seme è caduto fra i rovi e le pietre.

La profezia è spenta.

La Parola viene offerta, ma il mondo “non la accoglie”.

“Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”(Gv 1, 11).

“Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”(Gv 1, 11)

Sono proprio i “suoi” (che siamo anche i “noi), non i cattivi pagani, che non sanno ospitare lo spirito di verità. Forse avevano altre aspettative, forse pensavano a un redivivo Giovanni Battista o un infuocato Elia, o a un severo Geremia, non certo a un figlio di un falegname, nato e cresciuto nell’anonimato  in uno oscuro villaggio della Galilea, ma che, con autorità, manda all’aria gli schemi teologici sedimentati e sclerotizzati nei secoli.

La fede ridotta a un sistema di regole di comportamento, in un’etica statica che ha perso la sua anima, quando determinati tipi di prassi morale della tradizione sono diventati principi giuridici assoluti senza rapporto con il divenire della storia e con la varietà dei contesti sociali, dando vita a un conformismo acritico.

La precettistica ha oscurato il volto di Dio.

“È lecito o non è lecito?”

Gesù dice parole vive

Ma Gesù non ripete parole codificate, dice parole vive, a misura di uomo, per quell’uomo concreto, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, la samaritana, il cieco, il sordo e i lebbrosi… ma anche Zaccheo, Nicodemo, Marta e Maria… Non un caso ipotetico, ma quella situazione particolare.

La  Parola è pronunciata ai piedi dell’uomo, non al di sopra

“Non l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo” (Mc 2, 27), là dove tanto l’uomo che la sacralità del sabato riescono a esprimere la loro più vera natura.

La  Parola è pronunciata ai piedi dell’uomo, non al di sopra.

In tal modo la Legge, che è dono  di Dio, verrà vissuta come fonte di liberazione, non di castrazione.

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. State saldi e non lasciatevi imporre il giogo della schiavitù”(Gal 5, 1).

Il nostro Nazaret, che ha messo al bando il vangelo di Cristo, al posto del quale ha proposto una dottrina completamente avulsa dal tempo in cui viviamo, esige dalla Chiesa una purificazione, una continua conversione per andare alla radice sella fede.

Che fare?

Stare nell'”oggi”. Esserci

Seguire l’esempio di Gesù, che non si è ritirato sdegnosamente sull’Aventino, ma “venne ad abitare in mezzo a noi”. È il Dio con noi e per noi.

Quindi stare nell’oggi, “esserci”, senza impazienza e ansia di proselitismo, attingendo dalla Parola i motivi per credere nell’uomo dentro un mondo amato da Dio.

Senza intolleranza, senza condanne, come spesso è stato nella chiesa del passato, ma anche senza annacquare la radicalità di quell’amore scandaloso, di cui siamo partecipi: la croce di Cristo come icona che svela il mistero di Dio.

…attingendo dalla Parola i motivi per credere nell’uomo dentro un mondo amato da Dio

Questo è il depositum fidei , non un macigno inamovibile, ma un messaggio di vita che cresce nell’intelligenza delle cose verso quella pienezza di verità finché “giungano a compimento le parole di Dio” (Evangelii Gaudium), in una tensione dinamica, in un benefico pluralismo di pensieri teologici che sappiano esprimere l’accadere di Dio nel nostro mondo.

L’unico Signore nella molteplicità delle sue membra, lontani da ogni clericalismo e da ogni angusta sacrestia.

Abbiamo dimenticato Dio. Abbiamo depauperato l’uomo

Noi viviamo in un universo profondamente secolarizzato, al di fuori di ogni “ipotesi su Dio”. Rimane, è vero, qualche elemento della tradizione. Mi riferisco alla precettistica di cui sopra, con l’osservanza di alcune pratiche che si ripetono meccanicamente, senza però che vengano forniti gli strumenti per capirne le ragioni.

Così è anche per la liturgia eucaristica col suo linguaggio arcaico. Ci sono preghiere che risalgono all’epoca patristica e all’alto Medio Evo. Così che anche questa rischia di risolversi in un atto devozionale alla stessa stregua di una giaculatoria o di un rosario.

Alcuni concetti religiosi, che fino a pochi decenni fa erano familiari, ora non dicono più niente.

E comunque alcuni concetti religiosi, che fino a pochi decenni fa erano familiari perché facevano parte di un universo più o meno condiviso, ora non dicono più niente.

Da un altro lato si fa strada una domanda di senso che trova una risposta in un certo risveglio del sacro con la nascita di movimenti spirituali orientaleggianti, un vago deismo disincarnato, che può servire da anestetico per lenire le nostre ansie. Una spiritualità consolatoria chiusa in se stessa.

Siamo ben lontani dal Dio personale che invita a una relazione reale e impegnativa, un Dio che non desidera vagheggiamenti mistici, ma chiama alla responsabilità dentro la propria vita e nella vita del mondo per essere costruttori del Regno attraverso la prassi quotidiana nell’attenzione all’altro e nel faticoso esercizio  della giustizia e della carità.

Non pratiche  ascetiche, ma la sequela faticosa e esaltante nello stesso tempo del “Vieni e seguimi” fino a donare la vita.

Abbiamo dimenticato Dio.

Abbiamo depauperato l’uomo.

Ada

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