Parrocchie e dintorni. Come coinvolgere

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Queste brevi e semplici riflessioni non desiderano togliere nulla al grande impegno di tutto coloro che operano nelle nostre parrocchie

Sono riflessioni marginali di un prete che frequenta la parrocchia, ma che non vive direttamente la parrocchia. Diciamola così: non abito in parrocchia, ma offro il mio contributo di tempo per alcune attività parrocchiali.

Come coinvolgere. Ce lo chiediamo da 35 anni

Tanti anni fa ero in oratorio e girava una domanda nei vari gruppi parrocchiali: come coinvolgere le famiglie, i giovani, con i ragazzi era più facile. Sono stato parroco in due parrocchie di montagna e la domanda che girava era: come coinvolgere famiglie e giovani.

Sono passati più di 20 anni da quando non faccio più il parroco. Ma qualche settimana fa, in una riunione di un gruppo parrocchiale, sento la stessa identica domanda: come coinvolgere famiglie e giovani. Con l’aggiunta dei ragazzi, perché di questi tempi sembra che anche i ragazzi siano da coinvolgere. Il fatto che mi sorprende è che questa domanda si ripeta tale e quale da quando sono diventato sacerdote 35 anni fa, fino ad oggi. 35 anni che ci chiediamo come coinvolgere le persone. Tra l’altro l’operazione che facciamo per dare una risposta a questa domanda è quella non del cambiamento di prospettiva, ma dell’aggiustamento di orari e proposte.

Cambiare orari non basta

Faccio un esempio. Se cambio gli orari delle messe magari coinvolgo più persone, se cambio gli orari del catechismo magari gli adolescenti arrivano.  Pensando ai tempi che viviamo, alla crisi di partecipazione e alla stagione drammatica del covid, mi sono chiesto se non è il caso di cambiare domanda o di cambiare prospettiva.

Formulo così la nuova domanda: come può una realtà parrocchiale porsi in ascolto del mondo senza avere necessità di coinvolgere, ma solo di stare là dove la vita accade? Non voglio immediatamente coinvolgere giovani, ma ascoltarli nelle loro storie di vita. Non voglio immediatamente coinvolgere tutte le famiglie, ma voglio ascoltare le narrazioni delle loro storie. Quali sono quei luoghi, quelle esperienze che necessitano non di una presenza di chiesa che sembra un presidio alla verità? Come evitare il rischio di ridurre tutto a formule dogmatiche o del diritto canonico? A formule che hanno poco a che fare con l’ascolto?

Ascoltare. Tre “luoghi” possibili

Io indico tre luoghi che la parrocchia deve imparare ad ascoltare. I luoghi della giustizia. Il giorno 3 dicembre a Bergamo è stato presentato il manifesto per una città riparativa. Credo che stare e ascoltare questo luogo vuol dire avere il coraggio di affrontare il tema dell’incontro, della mediazione, non come compromesso, ma come ascolto delle ferite dell’altro. E poi il tema della giustizia è anche il tema della denuncia profetica delle storture economiche, sociali, quelle storture che creano povertà.

Un secondo luogo che la parrocchia deve imparare a frequentare è tutto quel mondo legato alla pastorale della frontiera. Si tratta di una pastorale che è favore delle persone, degli ultimi, delle categorie che fanno fatica a stare dentro il mondo ecclesiale per la loro stessa condizione di vita.

Una pastorale segnata dalla benignità e dalla misericordia, dall’incontro e dal confronto, senza dover rimarcare confini e distinguo. Che sia orientata più alla salvezza che alla condanna, capace di confidare in Dio e non nei progetti umani.

E per finire l’ultimo luogo è quello della riscoperta del mondo dell’economia e del lavoro. Formare una parrocchia a stili di vita di economia di comunione e sociale. Mettere in atto il grande cambiamento che ci fa passare dal paradigma del profitto, a quello della comunione.

Partendo proprio dalle nostre parrocchie. La parola sacra ci accompagnerà dentro questo cambiamento perché lei è luce che può e deve illuminare il cammino delle nostre comunità. Anche qui non una parola come strumento per insegnare, ma una parola condivisa e condivisibile, cercata e pregata insieme nelle celebrazioni e nella vita quotidiana.

1 Comment

  1. Bruno Bernini ha detto:

    Sig parroco, dal momento che da 35 anni la domanda sussiste e resta irrisolta credo di potermi permettere di dire il mio punto di vista. In un certo modo mi sento autorizzato a farlo in quanto laico che vorrebbe stare nella piramide capovolta che ci ha raccontato Papa. Francesco. Allora mi chiedo se non potrebbe essere questo il punto di vista migliore, per la chiesa, per provare a risolvere l’enigma? Io mi limito a pensare che quando la buona notizia ha cominciato a circolare, nessuno degli inviati si è posto la domanda che la chiesa oggi si pone. Il messaggio era cosi forte che la gente si faceva ammazzare ma poi quando la gente è diventata tanta e il clero organizzato ha preso in mano l’impero, le cose sono cambiate. Non riesco a condividere le ricette che suggerisce e che riconosco frutto di un’esperienza che io non ho. Sono stato un’uomo d’azienda e in azienda quando si prende coscienza che si sta finendo fuori mercato, normalmente, si deve trovare la forza di rinunciare alle comodità della tradizione e dello status quo e si ricomincia con idee completamente nuove, tipo la piramide capovolta , appunto.

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