
Ore 17:10, sono in chiesa. Oggi (evento raro), non arrivo sul filo del rasoio, non avevo incontri prima della celebrazione e posso leggere qualche pagina del libro che in questo periodo ho scelto come lettura spirituale.
Maria chiede di potersi confessare. È una signora che conosco bene, tra le prime che si sono presentate al mio arrivo a Seriate, sempre cordiale e attenta. Ci spostiamo nel confessionale. Maria è molto avanti negli anni, non sempre la salute la sostiene, pertanto capita che qualche giorno non riesca a venire in chiesa. Mi racconta, prima della confessione, del suo dispiacere profondo quando la salute o il maltempo le impediscono di venire a Messa. Oggi, ha già seguito due messe alla televisione, ha pregato il rosario, è passata dalla sua madonnina di Paderno per la devozione e, ora, sta per partecipare alla messa. “Ne ho viste due alla televisione, don, ma io voglio venire qui. È qui che mi aspettano le braccia aperte! Che bello, vero?”. Ascolto la confessione mentre quella frase mi continua a gironzolare nella mente. Terminato il sacramento, entro in sacrestia e mi appunto le parole di Maria su un biglietto ricavato dagli avvisi della settimana precedente, che diventano foglietti per appunti vari…
Oggi il Signore me ne sta combinando un po’. Gli sto raccontando un po’di cose nella preghiera, in questi giorni; Lui le sa, ma io ho bisogno di dirgliele.
Prima di confessare Maria, stavo leggendo un testo che commenta Marco 5, 25-34, la pericope dell’emorroissa guarita (salvata!). L’autore ha sottolineato come, in greco, i sette participi del testo preparano l’unico verbo all’aoristo, che dà senso a tutto ciò che precede. Quel verbo, fulcro del testo, è “toccò”. È il con-tatto con Cristo che sana, guarisce l’affettività e insegna l’amore.
Saggiamente, il commentatore sottolinea come “il tatto forgia la nostra affettività molto più dell’intelligenza e della razionalità”, tanto che ci accorgiamo quando una persona è cresciuta in un ambiente anaffettivo, senza carezze, senza un abbraccio sincero o una mano sulla spalla.
Ecco, proprio mentre mi domandavo come tradurre in forma pratica questi consigli preziosi contenuti in questo bel libro, arriva Maria e mi regala la risposta: “È qui che mi aspettano le braccia aperte!”. Per carattere non parlo molto, soprattutto alla presenza di più persone… me la gioco meglio a tu per tu o con due/tre persone.
Non abbraccio facilmente: la paura di un fraintendimento del gesto prevale sulla sua capacità di parlare più delle parole, in alcuni momenti; per questo lo riservo a rare occasioni o a persone che conosco e mi conoscono bene. Sono un po’rigidino, me ne rendo conto e ci soffro anche un po’… ma credo ci si possa lavorare.
Forse il primo lavoro spirituale da continuare a fare è lasciarmi abbracciare da Lui. A volte cerco con tutte le forze di scappare dal suo abbraccio, non perché non lo voglia… anzi: come lo apprezzo dalle persone che me lo regalano, lo desidero molto da Lui.
So, però, che l’abbraccio di Dio è dono e responsabilità insieme, perché se mi lascio abbracciare da Lui poi non posso tenere quella gioia solo per me.
Guardo al triduo pasquale alle porte, dove quelle braccia si apriranno sulla croce per abbracciare il peccato del mondo, il mio peccato… per svuotarlo dal potere di darci la morte eterna.
E desidero, come san Tommaso, vedere i segni della passione sul corpo del Crocifisso Risorto, sperando di avere la forza e il coraggio necessari ad abbracciarlo e dirgli: “Mio Signore e mio Dio!”