È periodo di Cresime nelle nostre comunità cristiane. Chi a fine prima media, chi seconda, chi terza, qualcuno a inizio del primo anno della scuola superiore, ma nelle nostre comunità per i preadolescenti è tempo di Cresima.
Chi accompagna questi ragazzi già sa e non si illude: più della metà dei ragazzi non metteranno più piede in Chiesa già dalle settimane successive la Confermazione. Altri proseguiranno qualche mese il percorso (se la parrocchia offre un percorso catechistico post Cresima) per poi raggiungere i numeri usuali. I quali ci dicono che, dopo circa un anno dalla Confermazione, quasi il 90% dei ragazzi che hanno ricevuto lo Spirito Santo, il sacramento che dovrebbe costituire l’inizio di un cammino di fede tanto intenso da costituire una testimonianza per gli altri, scompare dalle nostre celebrazioni eucaristiche.
Non se ne parla più. Oppure ci si rifugia nelle critiche facili
Sono cose tanto scontate che ormai non ne parliamo più nemmeno tra preti: anche quando ci troviamo senza un ordine del giorno decente parliamo d’altro, ma di queste cose non più. La Chiesa è già abbastanza in fatica, meglio parlare di qualcosa che ci sollevi il morale. Talvolta qualcuno tra i laici ne parla.
C’è chi si lancia in intense arringhe contro i genitori: “Mandano i figli a fare i sacramenti, ma non ci credono nemmeno loro! Non ha senso!”; queste persone, credo, tentano almeno un ragionamento di senso, anche se un po’ sommario e superficiale.
Poi, c’è chi approfitta della situazione per attaccare i suoi preti: “Sono i preti inadeguati, per questo le Chiese si svuotano”, dimenticando che questa situazione non riguarda solo la loro parrocchia, ma un po’ tutta la Chiesa occidentale: quindi, o sono scarsi tutti i preti europei, o queste affermazioni vanno lasciate ai risentiti cui piace pontificare (e magari comandare) nella Chiesa, non avendo avuto le capacità di trovare ruoli di visibilità altrove. Opto per la seconda ipotesi.
Personalmente, credo stiamo fuggendo da tempo, nella Chiesa, da una domanda scomoda, forse addirittura dolorosa: in quale comunità vorremmo (pretenderemmo?) rimanessero i ragazzi che hanno concluso il percorso di iniziazione cristiana? Qui, a mio parere, sta il fulcro della questione.
Come Chiesa, il nostro compito non è determinare la libertà di chi, legittimamente, sceglierà se restare, andarsene, o andare altrove per un periodo e poi tornare: su questo ciascuno, in coscienza, farà ciò che crede meglio per sé. Il nostro compito è quello di creare comunità cristiane credibili, dove sia possibile anche per un adolescente e un giovane vivere la fede e relazioni gratificanti.
Provo a specificare con qualche semplice esempio. Se un adolescente percepisce la sua parrocchia come un’istituzione immobile, dove sempre le stesse persone fanno le stesse cose, dove ci si lamenta della mancanza dei giovani ma quando questi si propongono vengono immediatamente messi a tacere o additati di incompetenza, perché dovrebbe rimanere? Se un giovane si trova in una comunità dove si predica bene, ma si vivono lotte interne per il potere, la visibilità, l’imposizione delle proprie idee, che farà? Resta in un ambiente dove puntualmente si smentisce con la vita ciò che si insegna con le parole?
Se una parrocchia non sa costruire relazioni positive, per quale motivo un adolescente dovrebbe “restare”?
Il giovane se ne va e fa bene ad andare dove c’è coerenza! Se un adolescente e un giovane si trovano in una comunità incapace di benedire, di dire bene degli altri, perché il parlar male è lo sport preferito dei membri più impegnati, dovrebbero restare?
Magari vivono già la fatica della separazione dei genitori, o vedono crescere il nipotino tra mille difficoltà: devono restare dove non trovano accoglienza, ma giudizi spietati? Il giovane vuole essere accolto così com’è, sia egli convivente o meno, abbia i genitori separati o “regolarmente sposati” (cosa significa, poi, “regolarmente?”… Non sempre ciò che appare regolare è realmente tale…), attraversi momenti più o meno di fatica o lontananza nella fede.
O la Chiesa saprà aprirsi all’accoglienza della persona in quanto tale o si svuoterà completamente, perché incoerente con il Vangelo. E se così sarà, questa dovrà essere colta come una grazia, un segnale che il Padre vuole ben altro da noi.
Un ultimo spunto. Spesso noi cristiani, soprattutto impegnati, descriviamo la nostra Chiesa come un paziente in agonia, in attesa della fine. Ora, quale giovane entrerebbe volentieri in un ente che si autodefinisce agonizzante e vicino alla fine? A che scopo impegnarsi?
Ciò non significa, ovviamente, proporre un’immagine illusoria di Chiesa, ma vivere la Chiesa credendo che è lo Spirito a tenerla viva, non le nostre iniziative. E allora la Chiesa sarà sporca, avrà tante incoerenze, avrà anche preti e laici inadatti, ma è la Chiesa di Cristo, vivificata dallo Spirito. È la Chiesa del Risorto, che ha patito la passione e la croce per noi.
La Chiesa potrà anche, un giorno, avere dimensioni sociologicamente irrilevanti, essere costretta a rinunciare a strutture e attività, ma fino a quando saprà amare e accogliere ciascuno nel nome di Gesù Cristo, sarà la casa e la comunità più bella nella quale è possibile vivere. E, possiamo sperare, essendo guidata dallo Spirito, essa vivrà, fino alla fine del mondo.
2 Comments
Non è colpa dei ragazzi che fuggono, ma dei genitori che sono i primi assenteisti e non convinti e i ragazzi bevono di brutto da coloro che dovrebbero essere i primi educatori alla fede se non altro con l’esempio
Il mio piccolo contributo se può servire: ho fatto per tanti anni la catechista di preparazione alla Cresima ed in effetti poi sono scomparsi. Poi abbiamo sperimentato di continuare il catechismo e ho fatto due anni di postcresima con gli stessi ragazzi: non ci crederete ma circa la metà hanno continuato. Che facevamo? Non era un vero e proprio catechismo come prima, ma una catechesi “sotterranea”, facendo cose che a loro piacevano. Ricerche su Internet fatte da loro a casa che poi mostravano ad esempio sulla pace. Ricerche su personaggi a volte anche non cristiani , che vivevano le beatitudini. Un paio di volte li ho accompagnati al cinema a vedere film su cui poi abbiamo fatto commenti. Discussioni su argomenti che a loro interessavano (potete immaginare quali). Piccole performance teatrali. Minipizzate in cui loro stessi impastavano le pizze (che infornavamo nel forno della parrocchia..).Vendita di dolci per autofinanziare l’acquisto di bambinelli a Natale che poi abbiamo portato in una casa di riposo. Ed altro ancora….Quanti ricordi…Poi anche loro sono stati inghiottiti dalla vita come è naturale, ma a volte ci si rivede con grande gioia e prego il Signore che li accompagni e li assista sempre.