Comunismo o bene comune? 

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Con questo contributo esclusivo Franco Pizzolato inizia a collaborare con La barca e il mare.
Contributo prezioso che ci aiuta ad andare oltre i termini di un dibattito scontato.
La proprietà privata va difesa solo perché tutti possano godere gli stessi diritti

Quella che si considera l’unico pericolo: il comunismo

Per troppo tempo nella società civile e religiosa italiana contemporanea una propaganda e una catechesi battenti hanno fatto passare l’idea che, non dico il principale, ma l’unico nemico dell’etica sociale cristiana fosse il comunismo. E ne veniva la conseguenza pratica che la difesa delle povertà sociali fossero assunte da altri e che il liberismo, e perfino il capitalismo, fossero gli antidoti corretti. 

Quell’idea tanto si è radicata nella nostra gente non solo borghese, ma anche pia, che perfino oggi che il pericolo comunista più non esiste, si accusa di comunismo qualsiasi idea sociale che non adori il vitello d’oro del “privato”; e addirittura si sta smantellando lo Stato sociale, come si constata con particolare evidenza nella sanità pubblica. 

Quello che la Chiesa condanna comunque: il liberismo

Eppure non era così, quando l’etica sociale cristiana produsse la sua prima dottrina sociale, cioè a partire dalla fine del sec.XIX. Allora si condannava sì il comunismo, come dichiaratamente ateo e antiumano, ma si condannava altrettanto duramente il liberismo in quanto formalmente rispettoso dell’uomo e della religione, ma sostanzialmente altrettanto anticristiano e antiumano. E questo atteggiamento teorico continua, più o meno accentuato, in tutte le encicliche sociali. 

Per l’etica sociale cristiana, dalle origini fino ai nostri giorni, la proprietà privata non è considerata una usurpazione, ma solo se essa è un mezzo per fare fruttare meglio, con la passione del singolo, le risorse del mondo a vantaggio di tutti. Perché, da sempre nell’etica sociale cristiana, i beni del mondo hanno una destinazione sociale, e non al solo loro proprietario. E le ricadute nel privato avvengono in quanto essi diventano beni per tutti, e quindi per ciascuno. I primi cristiani dicono addirittura che la proprietà privata è un “prestito” il cui detentore ha responsabilità di uso e ne deve rendere conto. Qualcuno ha proposto di chiamarlo “accomumismo”, perché “rende comuni”. 

Verità sacrosante e dimenticate

Ma chi le sente mai queste o simili cose nelle nostre chiese? Che magari credono di essere rispettose della tradizione perché fanno processioni pompose all’antica, mentre trascurano quelle tradizioni ancor più antiche come l’uso comune dei beni, che hanno impiantato la religione nella società perché l’hanno legata alla promozione dell’uomo, non solo al sacro.  

Lo Stato sociale (che non è quindi lo Stato “comunista”) è nato proprio per vigilare su questa destinazione sociale dei beni: perché colui che li detiene ne tragga sì un profitto, ma non fino al punto da offuscare la destinazione sociale dei beni. E ciò lo Stato fa soprattutto con politiche del lavoro e fiscali; controllando il mercato stesso che ha come unica regola il profitto e che, nel nome del profitto e con logica aziendale, taglia fuori dalla società i membri meno dotati e inefficienti, e crea quella che papa Francesco chiama la “cultura dello scarto”. 

Va detto poi che non sempre nel mercato sono i capaci e i meritevoli che si impongono, ma spesso (vorrei dire, quasi sempre) prevalgono quelli che, anche qualora non infrangano le regole etiche, sono stati dalla storia avvantaggiati in partenza da privilegi acquisiti o ereditati. 

Nessuno scartato

Per questo la Chiesa ha sposato la “questione sociale” e non semplicemente la causa “liberale”, di cui tutti oggi si riempiono la bocca. Con senso della storia aveva capito che non bastava schierarsi a favore delle forme politiche liberali che stavano imponendosi (uguaglianza di tutti di fronte alla legge o isonomia) se prima non si rendevano tutti i cittadini in grado di avvalersi alla pari di quei diritti, acquistando pari capacità di espressione (isegoria) mediante un adeguato accesso ai beni materiali e culturali. E in ogni caso nessuno essendo scartato, ma tutti destinati, in misura e responsabilità diverse, ma con pari dignità, alla costruzione della società civile.

All’esigenza risponderà la nostra Costituzione quando, all’art.3, reciterà:

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.  

Come si vede, si potrebbe fare buona catechesi anche con la nostra Costituzione.

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