
Daniele Rocchetti qualche giorno fa, nell’ambito di Molte fedi, presentando il relatore Marco Ronconi, ha riportato una frase di padre Bartolomeo Sorge: “Manca nella Chiesa un vero dialogo soprattutto da parte della gerarchia verso i fedeli laici. Da qui il silenzio e il disinteresse generalizzato”.
D’altronde, se ci guardiamo intorno, ci accorgiamo che i più distratti e indifferenti riguardo ai problemi della Chiesa e in particolare al cammino sinodale, sono proprio i laici, anche quelli che partecipano all’Eucarestia domenicale.
Capita, al contrario, di trovare più interesse da parte di chi è lontano, o così si dichiara, dalle problematiche ecclesiastiche, ma molto più vicino per cercare di capire l’uomo nella complessità del nostro mondo.
Ora, tornando all’affermazione di padre Sorge sulla mancanza di dialogo, penso che il problema stia a monte.
I laici. I vicini e disinteressati, gli interessati e lontani
Non c’è la consuetudine ad ascoltare, non per cattiva volontà. Tutti infatti conosciamo lodevoli eccezioni anche a livello locale, ma il problema risiede nel come è stata concepita la chiesa dal Concilio di Trento, ma anche secoli prima. Trento non ha fatto altro che ratificare e “cementare” un’idea di Chiesa fortemente monolitica, verticistica, di fatto inamovibile, difficile da scalfire, basata su una profonda distanza fra chierici e laici.
Questa è l’eredità che noi ci portiamo addosso per cui, nonostante il Vaticano II e la Costituzione Lumen gentium che presentava la Chiesa come popolo di Dio, e non più come “società perfetta e ineguale”, ancor oggi si latita a ripensare la Chiesa, quale il suo fondamento, la sua identità, la sua finalità. Si fatica a capire che cos’è il depositum fidei di cui è resposabile e come possa proporsi agli uomini e alle donne di questo nostro tempo.
Su questi fondamenti deve vertere la ricerca.
Se alla parola Chiesa si sostituisce “popolo di Dio”, significa indicare la pari dignità e pari responsabilità di tutti i battezzati, la chiamata di tutti alla santità e l’apertura escatologica.
Tutti con la stessa dignità, appunto, tutti chiamati alla sequela di Cristo, pur con ruoli diversi. Non possiamo non rifarci alle parole di Paolo “Ci sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito(…) e a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1Cor 12, 4-11).
Ora, nel corso degli anni, la pari dignità è andata via via scemando a favore invece di una diversità che si è trasformata in una sostanziale diversificazione.
il clero “sacralizzato”. Il sacro chiuso nel suo recinto identitaria
Dopo i primi entusiasmi per l’apertura promossa dal Concilio, c’è stata di riflesso una marcia indietro all’interno della Chiesa, o meglio, di una parte della Chiesa, comunque significativa, con una forte sottolineatura della sacralità attribuita al clero. Sacro significa diverso, altro, lontano. Il sacro è chiuso nel suo recinto identitario, gode di una autorità indiscussa, partecipa di un mondo a parte, diventando il solo depositario della verità e scavando un solco profondo fra clero e laicato.
Così l’Istituzione, che dovrebbe essere a servizio della verità del Vangelo e della verità dell’uomo, diventa autoreferenziale, si autoalimenta.
Mi rendo conto di aver estremizzato la situazione, ma mi riferisco a espressioni altrettanto dure del papa quando denuncia il clericalismo usato come forma di potere con i conseguenti scandali, non solo sessuali, di cui la cronaca riempie le pagine.
Che fare?
La Chiesa non può cambiare?
Ma Gesù l’ha fatto, quando alla staticità del tempio e alla fissità della legge ha sostituito la sua Persona. Ha sovvertito il codice di diritto canonico.
Lo possiamo fare anche noi.
Occorre ripartire dalla Scrittura, rispettare il messaggio consegnato da Gesù agli apostoli, adeguandolo alle circostanze del nostro tempo. Occorre il forte annuncio del Vangelo capace di scardinare le nostre coscienze assopite, distratte, che hanno finito per neutralizzare la Parola, troppo difficile e scomoda.
E’ vero che da qualche parte resistono Battesimi e Prime Comunioni, ma per lo più sono parole vuote, che servono a riempire per qualche giorno le chiese e prima di tutto i ristoranti.
Una chiesa povera, dove allignano pubblicani e prostitute, che comunque “ci precedono nel Regno dei cieli”
Eppure anche questo può essere un “tempo favorevole” se sappiamo interpretarlo con gli occhi della fede. La Kénosis della Chiesa accettiamola come un segno. Non è più la Chiesa del fasto, del numero, delle piazze osannanti. Una chiesa povera, dove allignano pubblicani e prostitute, che comunque“ ci precedono nel Regno dei cieli”, soprattutto una chiesa afona, se non fosse per qualche inascoltato profeta, che ci scuote dai sogni di onnipotenza e perfezione, che si sono frantumati negli incubi nelle nostre oscurità interiori.
Riscopriamo la Chiesa di Cristo.