Mentre nel blog leggevo gli interventi a proposito di omelie, mi son venuti tra le mani due libretti, poco più di opuscoli, uno del cardinale Martini, l’altro di Silvano Fausti, due gesuiti, due sapienti cultori della Parola, due uomini di grande spessore umano e spirituale.
“In principio la Parola” è la Lettera pastorale di Martini indirizzata alla diocesi di Milano nel 2009. E, “Il futuro è la Parola” del 2001, è il frutto di una lunga intervista a Fausti.
La Parola, quindi come principio e come futuro, come fine, per dire come la sua potenza sia totalizzante tanto da coinvolgere l’intera vita.
Ora è significativo che ambedue dedichino pagine preziose alla Parola all’interno della liturgia eucaristica e trattino dell’importanza della predicazione.
La liturgia, scrive Martini citando il Sacrosantum Concilium, è il luogo privilegiato della Parola. “C’è nella terra del nostro pellegrinaggio, un luogo dove la parola salvatrice rimane con efficacia eccezionale: la sacra liturgia” (SC, 83)
E continua:
La liturgia si nutre abbondantemente alla mensa della Parola: prende dalla Bibbia le sue letture, canta i Salmi, si ispira alla Scrittura nel comporre inni, preghiere, invocazioni; riporta fedelmente la preghiera che Gesù ci ha insegnato, e fa memoria della morte e della resurrezione con le stesse parole di Gesù “Questo è il mio corpo. Questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di me” che è il modo in cui, in maniera reale e misteriosa, si fa presente Cristo in mezzo a noi.
Tutto questo richiede che ci sia da parte del celebrante una formazione costante ed è indispensabile un’attenzione scrupolosa all’omelia per trasferire la Parola ascoltata nella vita degli uomini e delle donne, riuniti attorno alla mensa della Parola e del Pane.
Un compito non facile. Richiede tempo, studio, riflessione, meditazione, e prima di tutto preghiera per invocare lo Spirito perché sia Lui a suscitare pensieri e parole che dicano il Mistero che viene celebrato, cercando il più possibile di essere fedeli al testo, senza manipolarlo a proprio uso e consumo, senza enfatizzarlo, ma rispettandolo nella sua verità, anche nella sua crudezza, quando le parole ci paiono impegnative e dure.
Importante è individuare il focus, il nucleo del messaggio che emerge, e da cui tutto il resto prende direzione.
Poche parole, ben scelte e calibrate incidono maggiormente
Anche qui occorre sobrietà. Forse poche parole, ben scelte e calibrate incidono maggiormente e preparano alla preghiera dei fedeli che, anch’essa, prende le mosse dalle Letture (I e II Testamento), evitando la retorica delle frasi fatte o delle preghiere preconfezionate.
(Recentemente ho partecipato a una messa dove il celebrane, non avendo a disposizione un formulario delle preghiere dei fedeli, ha invitato la comunità a recitare l’Ave Maria. E di proposito dico “recitare” perché di una recita si è trattato).
Quindi no al pressapochismo, alla superficialità, all’andare avanti per inerzia, o, forse peggio, a piegare la Parola a ciò che in quel momento sembra più conveniente.
Altrimenti il risuonare di frasi ripetitive e stanche, si riduce a un “bronzo che risuona e a un cembalo che tintinna” (1Cor 13, 1), e si svuota il senso profondo dell’intera liturgia.
Ma, e così concludo, le lacune in cui qualche volta inciampano i predicatori, non si possono imputare sic et simpliciter a loro. Sono sempre di meno e sempre più oberati dalla moltitudine di incombenze che la parrocchia richiede.
C’è da chiedersi se non sia giunto il tempo di ripensare a una formazione più specifica e adeguata per chi esercita il servizio della Parola.
“Ne scelse dodici che stessero con lui”
Ritorniamo al Concilio, secondo cui i presbiteri sono inviati prima di tutto alla predicazione e all’annuncio del Vangelo, poi a celebrare e a guidare alla vita pastorale, richiamandosi al testo del Vangelo dove si dice che “Gesù ne scelse dodici che stessero con Lui per mandarli a predicare, con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 13-14), cioè con gesti di salvezza che allontanano dal male.
Questo è il mandato.
Potessimo nel giorno del Signore ritrovarci per ascoltare ciò che lo Spirito dice “oggi” alla nostra chiesa, per portarlo fuori, con uno sguardo rinnovato, come profezia che trasforma.