Intorno al dibattito sul “fine vita”

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Fine vita. Il difficile nodo politico ed etico. Il necessario rispetto per affrontarlo
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Discernimenti personali su questioni aperte.
Un matrimonio di molti anni fa, un augurio che mi ha fatto riflettere.
I valori della mia fede non posso imporli per legge

La sintesi della prima Sessione del Sinodo dei vescovi, ottobre 2023 – citata a conclusione nel suo articolo da Bruno Duina il 17 di febbraio – mi ha sollecitato a commentarne alcuni passaggi ripensando a personali esperienze (lontane ma ancora importanti).

Il tema – serio – di fondo è il rapporto tra Vangelo e legge; quello meno serio, ma purtroppo determinante è la relazione tra politica – in altre parole partiti, consenso e ricerca di voti – e Chiesa ufficiale – in altre parole tra dottrina consolidata e tentazioni del potere.

Mi sono tornati alla mente i vissuti al tempo della legge sul divorzio. 

Situazioni matrimoniali difficili (dice il Sinodo dei vescovi)

Eravamo alla fine degli anni sessanta e assistevo al matrimonio della prima amica d’infanzia che si sposava; il carissimo prete che celebrava fece un augurio agli sposi “…quando tra voi ci sarà amore, bene: sarete immagine dell’amore di Dio per l’umanità; quando ci saranno difficoltà, bene lo stesso: testimonierete la fedeltà di Dio al suo popolo.”

La frase mi colpì: il matrimonio si rivelava impegnativo percorso nella fede.

Poco dopo le suggestioni del ’68 si mischiarono con i furiosi dibattiti intorno alla legge sul divorzio (1970); a me risultava difficile proporre l’illuminante augurio del carissimo prete agli amici atei, scettici, agnostici. 

Arrivò anche il momento del referendum abrogativo e avevo incontrato un altro carissimo prete in una comunità parrocchiale cosiddetta alternativa, di base. Il dibattito tra fede e politica, tra Chiesa e Stato arrivò anche lì.

La vicenda è raccontata nell’impallidito documento ciclostilato che ancora conservo.

Seguono 50 firme (omesse per discrezione)

Dal foglio ingiallito, quello che risulta ancora attuale a distanza di più di 50 anni – e parrebbe banale ribadirlo – è la frase sottolineata:” La fede e le scelte che da essa derivano, non possono essere imposte a nessuno per legge.” Già allora pensavamo potesse essere un principio assodato.

E’ la declinazione del principio della centralità della persona – anche cristiana – nella responsabilità delle sue scelte.

Prendere il tempo necessario (dice il Sinodo dei vescovi)

In 50 anni – di pace, almeno per il mondo occidentale – sembrava consolidata la centralità della “persona” nella cultura e nella “ratio” delle leggi da ispirare a categorie antropologiche   di solidarietà e collaborazione, quindi in condivise modalità di una comune visione di esistenza

La gestione della pandemia, dal 2021 al ’22, sembrò dimostrarlo a livello planetario: non durò a lungo.

Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti…(dice il Sinodo dei vescovi)

La sintesi della prima Sessione del sinodo dei vescovi ritiene queste categorie ancora non sufficienti: forse insufficienti non sono le categorie, ma la loro condivisione.

Il punto di riferimento più che sufficiente e fondante di queste categorie sembrerebbe invece già definito in due aggettivi espressi nell’articolo due della Costituzione Repubblicana: “…diritti inviolabili…doveri inderogabili”, cioè qualificazioni proprie del sacro: veto a profanare, vincolo di fedeltà solidale. Ancora l’inviolabilità torna come prerogativa della libertà della persona (art. 13).

L’antropologia maturata da guerra e dittature, colloca la persona in una nuova laica sacralità.

Corpo e storia

La persona è definita da un corpo e da una storia.

Le storie delle persone sono tutte diverse; sono soprattutto relazioni, vissuti da conoscere, comprendere, accompagnare, arricchire nelle relazioni.

La vita è concetto astratto, la persona no, è il vertice del concreto. L’allocuzione ”fine vita“ è povera, brutta, forviante; più suggestivo sarebbe dire fine di una storia.

Per un cristiano inoltre la vita non è tolta ma trasformata; certo credere questo è previlegio di fede. Al cristiano più che la legge resta la testimonianza di un rispetto alla persona che va ben oltre i principi costituzionali. 

Giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa (dice il Sinodo dei vescovi)

Non esistono principi insindacabili, esistono le persone con le loro storie.

Non giudizi semplificatori feriscono le persona, ma tempi dilatati da scelte procrastinate  che rendono la Chiesa più sola (o in cattive compagnie).

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