
Tra la tanta arte raccolta nell’abside del Duomo di Bergamo c’è un’immagine particolarmente suggestiva e volutamente nascosta: vederla e quasi un rito.
Sul retro dell’altare maggiore, tutto rivestito in legno di noce, tra le rampe di scalini che portano al ciborio, si apre una finestrella chiusa da due ante; è proprio di rimpetto alla “Cattedra vescovile”, come ad aprire una finestra in uno spazio chiuso, e la finestra all’aprirsi delle ante offre una rivelazione: la “Madonna dei colombi”, tavola dipinta da Giovanni Busi detto il “Cariani” in anni intorno al secondo decennio del cinquecento.
Lungamente ritenuta dalla critica opera di Giovanni Bellini, la tavola solo a fine ottocento viene riconosciuta come opera di Cariani, bergamasco di San Giovanni Bianco con famiglia ben inserita nella capitale serenissima.
Maria si erge – monumentale come una cupola – tra un davanzale e la nicchia di un edificio rinascimentale dove riverbera la luce. Maria ha gli occhi bassi – triste e concentrata – congiunge le mani in un gesto tra preghiera e protezione, figura della “Madre della Passione”.
Il tema è mutuato dalla cultura figurativa delle icone orientali dove la maternità di Maria viene rappresenta con la figura retorica della prolessi, cioè la narrazione di un fatto che ne anticipi il destino finale: la gioia del Natale è già il mistero del venerdì santo e Maria è la “Madre di Dio della Passione”.
Il tipo iconografico della divina maternità in prolessi diventa molto polare in Italia nella seconda metà del ‘400 e, particolarmente in area veneta, ispirerà opere di sottile lirismo come appunto “La Madonna di colombi”.
Sul davanzale, in primo piano, sono appoggiati un cesto con due colombi immersi in paglia dorata – morbida e luminosa – e un forziere, sorta di cassaforte portatile, con sopra un cuscino dove è seduto il Bambino; Maria medita “in cuor suo” e il Bambino gioca insidiando con il piede i colombi che si agitano spargendo piume.
La solennità di Maria in sfolgorante opulenza di forme e colori rimanda alla Venezia di Giovanni Bellini; l’arditezza, tutta nuova, del motivo del Bambino rivolto verso la cesta e introduzione allusiva del forziere riportano alla semplicità affabile e accostante della religiosità che Lorenzo Lotto sta dipingendo a Bergamo.
Cariani vede, impara e rielabora in un messaggio nuovo e originale: il forziere ha la serratura aperta, il chiavistello alzato, le chiavi pendenti; il tesoro è disponibile, basta attingere!
Il quadro da più di due secoli è praticamente nascosto, poco visibile, in una collocazione insolita: forse omaggio per impreziosire l’altare, forse riguardo riservato al vescovo e agli alti prelati del Capitolo del Duomo (finalmente pacificati dopo secolari diatribe) quando occupano gli scranni del coro?
Non certo per difenderlo dalla polvere: forse, e più probabile – recuperando l’antica cultura del coprire le immagini – per proteggerlo da sguardi distratti e dalla mortifera patina dell’abitudine.
Il dipinto, bello e prezioso, è chiuso; per vedere si deve aprire.
Il gesto di aprire evoca simboli e suggestioni arcane: significa agire, scegliere, ricercare, accogliere, muovere coscienza.