Cavallini/Tempo e vicinanza per parlare ai giovani

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Cavallini/Tempo e vicinanza per parlare ai giovani

Visto da Sud/Per parlare ai giovani bisogna “perdere tempo” con loro. Non solo ma bisogna “mettersi nei loro panni”, assumere i loro punti di vista. O si vive questa vicinanza o si rischia di perdere i contatti.

 

Tempo e vicinanza per parlare ai giovani: è quello cui torno spesso a pensare. Nella mia attività ordinaria di pastorale giovanile mi confronto con giovani di varie appartenenze. Ragazzi e Ragazze che appartengono a qualche gruppo parrocchiale o movimento oppure gruppi scout e spessissimo di giovani “non praticanti” o “non credenti”, detto in modo un po’ generale.

Le omelie delle Messe non dicono niente

A Palermo come in altre città d’Italia in cui ho prestato servizio molte volte il rimando che mi danno è che le omelie delle Messe (ogni tanto anche i non praticanti hanno occasione di partecipare ad una celebrazione) non gli dicono niente. Nel senso che li lasciano indifferenti.

Non sentono che abbiano qualcosa a che fare con la propria vita.

Più precisamente, non le sentono significative per la propria vita e ne deriva che neanche il Vangelo viene percepito come Buona Notizia concreta per la propria vita. Ne deriva anche una sorta di incomunicabilità nel senso che noi sacerdoti parliamo (nelle omelie e in altre occasioni) ma ciò che diciamo non tocca la vita delle persone in generale e dei giovani in particolare.

Ritengo che il problema sia da individuare nella mancanza di ascolto in profondità da parte di noi sacerdoti della vita, dei nodi esistenziali, delle categorie culturali dei ragazzi.

La mancanza di tempo, le strategie apologetiche della pastorale, il seminario

Alla luce della mia pluriennale esperienza in varie parti d’Italia ritengo che questa mancanza di ascolto in profondità dipenda da due questioni molto problematiche della nostra Chiesa a cui bisognerebbe mettere mano:

La mancanza di tempo da parte dei sacerdoti da dedicare ad un ascolto profondo delle persone fuori dalle attività ordinarie. Chi ha tempo da dedicare a un giovane per parlarci un’ora e mezza chiedendogli circa il suo modo di vedere la vita, di capire il mondo, di percepire Dio, dei suoi dubbi e delle sue ferite, di quello in cui crede e non crede, di quali siano i suoi nodi esistenziali?

Questa mancanza di tempo deriva da un sovraccarico di impegni dei sacerdoti che sono sempre meno e sempre più oberati di impegni, liturgie, questioni amministrative.

La formazione “apologetica” che generalmente si trasmette nei seminari ai futuri sacerdoti. Cioè ad acquisire la Teologia e le verità di fede e a trasmetterle ed eventualmente a difenderle.

Sotto sotto ci sta questa impostazione: io ti spiego a te la fede e la dottrina. E se non la capisci è colpa tua o della secolarizzazione o del peccato.

Inculturazione, assunzione del punto di vista dell’altro

Quasi mai viene insegnato quell’atteggiamento di cui furono maestri i primi missionari gesuiti: l’inculturazione!

Cioè quella capacità di interloquire con chi non la pensa come me o non crede. La capacità di essere così umile e davvero interessato al bene dell’altro da “spogliarmi” delle mie categorie culturali, esistenziali, antropologiche, teologiche. Tutto questo per arrivare a comprendere ed “assumere” le categorie dell’altro. Assumere il suo punto di vista, il suo modo di vedere e di capire.

Solo dopo poter riformulare il proprio annuncio, il proprio parlare (a partire dalla propria fede e teologia… che magari nel frattempo si sarà arricchita di qualche elemento trasmesso dall’esperienza dell’interlocutore)  calibrato sulla vita dell’altro.

Un atteggiamento che implica umiltà, capacità di spogliamento di sé, di apertura mentale, di studi approfonditi e solidi, di libertà del cuore, di non attaccamento “rassicurante” al ruolo e scevro da formalismi.

Il Seminario è un luogo in cui si veicolano queste attitudini?

Per un Vangelo che “parli” ancora oggi

Allora sì che il parlare di noi sacerdoti sarà percepito come significativo per la propria vita, parlare che tocca i nodi esistenziali della persona. Allora si sentirà che il Vangelo è una Buona Notizia ed ha a che fare in modo liberante per la vita concreta di ognuno.

Un esempio moderno di questo atteggiamento e di questa capacità per me è il Card. C.M. Martini.

In conclusione e in sintesi, si deve dunque ribadire che rimangono due grossi problemi di fondo a cui ritengo non si possa più rimandare una soluzione:

La mancanza di tempo da dedicare ad un ascolto profondo delle persone (che rimanda ulteriormente all’organizzazione clericale delle nostre Comunità) e la formazione all’inculturazione da parte dei sacerdoti (soprattutto nel nostro tempo di “Nuova Evangelizzazione”).

Tempo e vicinanza per parlare ai giovani, per parlare, oggi, efficacemente.

 

1 Comment

  1. […] Taizè a Torino a fine anno. Dal 1978 la comunità di Taizé invita ogni anno i giovani ad un incontro europeo chiamato “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra” in una grande città europea, all’Est e all’Ovest. Durante l’ultimo incontro europeo in presenza, tenuto a Wrocław,  in Polonia, il 30 dicembre 2019, frère Alois, il priore della comunità succeduto a frère Roger, aveva annunciato che la sede del prossimo raduno europeo sarebbe stata Torino. La pandemia di Covid ha rinviato di un anno l’appuntamento ora previsto da lunedì 28 dicembre 2021 a sabato 1º gennaio 2022. Cinque giornate che vedranno la partecipazione di giovani da tutto il mondo, scandite da tempi di preghiera comune, con canti e momenti di silenzio e workshop su vari temi religiosi ed ecumenici. Come da tradizione, elemento importante di questi incontri sarà l’ospitalità da parte delle famiglie e delle comunità che accolgono le migliaia di giovani europei nelle loro case. Abbiamo dialogato con  frère John, monaco di Taizè dal 1974, biblista, da molti anni instancabile animatore di incontri con i giovani. […]

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