Sono passati solo pochi giorni da due eventi significativi per la città di Palermo e la Sicilia.
L’arresto dopo trent’anni di latitanza del super boss mafioso stragista Matteo Messina Denaro e la morte dopo 30 anni di missione con i poveri e gli emarginati di Fratel Biagio Conte.
La sera del 17 gennaio, a distanza di pochissimi metri, in qualche modo si sono “celebrati” i due eventi. Fuori dalla caserma dei Carabinieri dove si è svolta la conferenza stampa circa l’arresto del boss con tante persone all’uscita che festeggiavano la notizia. Poco più tardi presso la Cattedrale di Palermo migliaia e migliaia di persone hanno accompagnato e vegliato il feretro di fratel Biagio.
Tutta la città ha vissuto l’intrecciarsi di questi eventi, di queste vite, che sono scorse parallelamente per paradigmi opposti circa il senso e lo stile di vita. Classe 1962 Matteo Messina Denaro, classe 1963 Biagio Conte. Praticamente coetanei. Il primo trent’anni fa iniziava la lunga latitanza disseminando morte, soprusi, malaffare. Il secondo, nello stesso periodo, dopo aver dato un nome alla sua inquietudine e alle sue domande di senso della vita, cominciò la missione con i poveri e gli emarginati. Accogliendo tutti e dando una possibilità di riscatto alla vita di molti.
Da una parte una vita sterile che ha generato male e solitudine che si consumerà in un’ulteriore arida solitudine. Dall’altra, una vita feconda, pienamente realizzata, che ha promosso il bene e creato comunità. Alla logica del potere, della ricchezza, dell’apparire fa eco la logica della carità, del servizio, della giustizia, del dono di sé, della sobrietà, dell’essere.
Per me, come per tutti quelli che erano presenti quei giorni a Palermo, le immagini e le risonanze delle due situazioni contemporanee sono state potentissime, eloquenti ed illuminanti circa cosa dia senso e fecondità ad una vita. Ciò che nel tempo perdura e ciò che svanisce.
Toccante e commovente la processione che ha accompagnato il corpo di fratel Biagio in Cattedrale e la successiva veglia, animata da testimonianze di alcuni tra i tanti che hanno trovato accoglienza nella sua missione a cui diede il nome “Speranza e Carità”. Dall’altra in un clima surreale la solitudine di un uomo scortato da due carabinieri nel deserto della piazza di fronte alla clinica in cui si curava.
Immagini che rimandano ad emozioni e riflessioni profonde le quali si sono impresse in modo indelebile nel cuore dei palermitani e di chi ha seguito le due vicende.