Elogio dell’insuccesso

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Costudire l’umano – rubrica a cura di Ivo Lizzola

La scomparsa di Berlusconi ha dato l’occasione per raccontare ed esaltare l’uomo di successo, il personaggio “riuscito”. Ma esiste una forma paradossale di sapienza che rende possibile attraversare l’esatto contrario, l’insuccesso

Le comunità sono un luogo in cui abita, si accoglie, si “soffre” anche la sconfitta, il fallimento. Nella stagione in cui ha preso piede la tecnica del lavoro sociale, gli “effetti” frustranti dell’insuccesso sugli operatori sociali sono stati non di rado elaborati e banalizzati con riferimento alla categoria del burn out.[1]  Nelle comunità vivono vite che il fallimento lo hanno attraversato e lo vivono come presente e persone che operano con competenza incontrando il limite e la fatica, l’impossibilità di controllo e di efficacia. Queste ultime sentono la tentazione di fuggire entro schemi di lavoro tecnico-burocratici e linee guida per il trattamento, oppure in luoghi esistenziali lontani dalle radiazioni della sofferenza. E la tentazione d’immunizzarsi. 

Una questione di sapienza umana

Stare ad attraversare la sconfitta è piuttosto questione di sapienza umana, è questione che rimanda al saper trattare con il mistero, è questione di ricerca pratica di un’emancipazione della sofferenza che non sia cercare su di essa vittoria o successo.

L’insuccesso può non essere distruzione o dissolvimento, può essere recuperato, riattraversato e rinarrato come interno ad una nuova possibilità d’inizio. Ad una profezia, a un segno di futuro. Con segnali e anticipi concreti; con saperi messi alla prova nella vita quotidiana, e nella combinazione di suoi elementi: il riconoscimento, la gioia, la giustizia, il bene, il servizio.

Fare percepire il volto nuovo della vita quotidiana”, scrive Mario Pollo, “permette di aprire al sogno”, alla profezia. Si tratta di una valorizzazione, di collocare in un contesto diverso e in una diversa relazione reciproca le cose di cui la vita quotidiana è intessuta. “Sognando” la vita quotidiana ”si può costruire una realtà nuova più consona al desiderio di una vita nuova liberata.[2]

Il futuro di cui costruire l’annuncio nelle esperienze di soglia, come sono o possono essere le comunità, va scoperto anche nelle asperità del presente ed anche negli elementi stessi che disegnano la sconfitta. Se non si intendono riscattare le sofferenze della sconfitta le persone soffocano nel disincanto cinico o nella disperazione.

In ogni attraversamento può avvenire il naufragio

Lavorare nelle comunità chiede agli operatori di sperimentare il limite delle proprie capacità e competenze, sapendo che si può sperimentare, come in ogni attraversamento difficile, anche il naufragio. Il proprio esercizio professionale si arricchirà così della logica del vivente e accederà a una nuova sapienza: è questa che può serbare la speranza che spesso fatica nei passaggi della sconfitta. 

Come invita spesso a fare Franca Olivetti Manoukian, riprendendo una riflessione di Eligio Resta occorre allora passare dal pensare alla pensosità. Pensare prova a tracciare la linea più breve tra un problema individuato e una soluzione; la pensosità “si muove su ritmi e tempi diversi” perché si sofferma, indaga attorno, si sofferma in ascolto, cerca altro, incontra sguardi non considerati. Permette di darsi delle prospettive diverse e non già pensate, è riconoscimento e ri-conoscenza.  “É una conoscenza che ritorna su di sé per auto osservarsi e riesce a vedere diversamente proprio perché rielabora la sua ottica.”[3]

L’orizzonte in cui si sono disegnate queste pagine è quello della fenomenologia: la realtà si dà sempre dal vissuto delle persone che ne fanno esperienza.[4] Va alimenta l’attenzione al suo manifestarsi, evitando di mettersi in cerca di fatti da riordinare da parte dell’intelletto, ma muovendosi alla tessitura di quei significati che si offrono alla ragione e al sentire. “Non si tratta di un vedere con gli occhi, eppure si tratta di una presa di coscienza immediata, di un ‘vedere dentro’ che non ha nulla da invidiare alla conoscenza sensoriale.”[5]

Una vita liberata dai pregiudizi

Si tratta di una postura esistenziale, della pratica di un’etica del quotidiano attenta al valore di una vita liberata dai pregiudizi; è la prospettiva di un’epistemologia della contingenza liberata dalle ansie di un sapere capace di controllare e tenere tutto nei concetti. Fuori da mondi anticipati, sospendendo il giudizio si può apprendere a muoversi in ascolto di ciò che si presenta, tracciando sapere dalla esperienza, pensosi e recettivi. 

Annota Daniele Bruzzone:

chi ritiene che lavorare nel sociale richieda solo spirito pragmatico e abilità professionale forse sbaglia. Se l’anima del lavoro sociale è la cura delle persone e se la cura delle persone si fonda sull’amore per la vita, allora è necessario anche imparare a pensare le questioni più profonde, quelle del senso e del non senso dell’esistere.”[6]

Abitare le comunità di accoglienza, operandovi, chiede di lasciare risuonare in sé il vissuto dell’altro: vuol dire “fargli spazio” dentro di sé e, insieme, stare esposti a sentire. Una preziosa occasione per coltivare uno spazio interiore.


[1] M. Pollo, Manuale di pedagogia generale. Fondamenti di una pedagogia culturale dell’anima, Franco Angeli, Milano, 2009; id., L’individualismo inautentico, Fuorilinea, 2021

[2] M. Pollo, “L’esperienza della sconfitta nel lavoro sociale”, in Animazione Sociale, 1/1994, p 26; A. Rizzi, Messianismo nella vita quotidiana, Marietti, Genova, 1981; id, Utopia e quotidiano nella Bibbia. Elementi per una prassi messianica, Morcelliana, Brescia, 2010

[3] F. Olivetti Manoukian, “Cinque ipotesi per cambiare”, in Animazione Sociale 1/2007, pp 24-25

[4] D. Bruzzone, La vita emotiva, Scholé, Brescia, 2022; D. Bruzzone, E. Musi (a cura), Aver cura dell’esistere, op cit.,  D. Bruzzone, “Oltre la gabbia di mille tecnicismi”, in Animazione Sociale, 8-9/2007, pp 74-ss

[5] L. Bingswanger, “Sulla fenomenologia”, in A. Warburg, L. Binswanger, La guarigione infinita, Neri Pozza, Venezia, 2005, p 261

[6] D. Bruzzone, “Oltre la gabbia di mille tecnicismi”, op cit

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