Da laico nella città. Rubrica a cura di Daniele Rocchetti
Ne parliamo in comunità ormai da due anni. In un momento di tanti e così profondi cambiamenti nella Chiesa e nella società, mi è sembrato che dovessimo riflettere insieme su questa domanda: non è giunto forse il momento per la nostra comunità di vivere una nuova tappa, con un nuovo fratello come priore? Inoltre, abbiamo tra noi una quindicina di fratelli non hanno mai conosciuto frère Roger, e questo è un segno che stiamo vivendo un nuovo periodo nella nostra vita di comunità. Ha ragione quando dice che questo cambiamento sta avvenendo senza essere condizionato da una particolare urgenza. Nella nostra vita comunitaria, il ministero del priore non ha né un limite di età né un limite di tempo. Proprio per questo mi sono preso il tempo necessario per preparare questa transizione. Vorrei aggiungere che mi ha commosso dopo l’annuncio ricevere tanti messaggi ed espressioni di amicizia, che dimostrano un vero attaccamento alla nostra comunità.
Mi sembra giusto parlare di un “servizio dell’unità”. Nel testo dell’esortazione letta in occasione della nostra professione, il priore viene descritto come un “servitore della comunione”. Questo vale innanzitutto per la comunione tra di noi come comunità ma indica anche quanto la nostra testimonianza di fronte agli altri voglia rappresentare una piccola “parabola di comunione”. Posso davvero dire che questi anni di servizio come priore della comunità sono stati un’esperienza incredibile. Sono particolarmente felice che abbiamo potuto vivere una tranquilla continuità con l’eredità viva di frère Roger. Naturalmente, le sue intuizioni fondanti devono essere adattate al contesto odierno, come sarà necessario farlo ancora in futuro. Tra le benedizioni più grandi, metterei al primo posto la vita comunitaria tra di noi, i fratelli, e poi l’ascolto dei giovani e il dialogo con loro, sia sulle questioni personali che li riguardano che sulle grandi sfide del presente. La prova della pandemia e le sue numerose conseguenze hanno segnato gli ultimi anni, così come l’aumento dei pericoli ecologici che preoccupano e mobilitano tanti giovani che ci visitano, e ora la tragedia della guerra che sta colpendo l’Ucraina e il Medio Oriente. Di fronte a tutte queste crisi, è essenziale ascoltare ciò che stanno vivendo i nostri contemporanei: a Taizé non vogliamo vivere la nostra vita fraterna tagliati fuori dal mondo, ma coniugare preghiera e solidarietà con chi soffre.
Sì, questa è stata senza dubbio la prova più grande della mia missione di priore: lo sforzo di verità che abbiamo intrapreso in seguito alle testimonianze di persone vittime di violenza sessuale o di abusi spirituali da parte di fratelli della comunità. Ogni giorno penso a queste vittime nelle mie preghiere. Alcune di loro hanno tenuto per sé questa sofferenza per tre decenni… Vorrei ribadire quanto siano state decisive le loro parole per farci conoscere il male che hanno subito, e quanto siamo impegnati oggi a fare tutto il possibile per rendere Taizé un luogo sicuro per tutti.
E’ vero, molte persone sono state colpite da questo al momento dell’annuncio del cambio di priore: frère Roger proveniva dalla tradizione riformata, io sono cresciuto in una famiglia cattolica e frère Matthew è anglicano di origine. È un richiamo alla vocazione ecumenica che sta al cuore della nostra identità di comunità. Mi sembra che oggi possiamo cercare di fare sempre di più, insieme a cristiani di diverse confessioni.
Negli ultimi mesi abbiamo riflettuto con i giovani a Taizé su come coinvolgerli nella riflessione in corso nella Chiesa cattolica. È stato ovviamente necessario uno sforzo di traduzione, perché l’espressione “sinodalità” non diceva loro molto. Ma ci sono poi state tante idee e riflessioni profonde che sono venute da questi scambi. Questa mi sembra la prima sfida: che la Chiesa sia sempre più attenta alle giovani generazioni. Non si tratta solo di evangelizzare i giovani, ma anche di lasciarsi evangelizzare da loro, scoprendo le magnifiche risorse di tanti giovani che si impegnano per gli altri in nome della loro fede in Cristo.
Mi piace che lei abbia citato l’ascolto, il silenzio e la preghiera come tratti distintivi della nostra esperienza a Taizé. Queste sono le parole che spesso sento dai giovani quando chiedo loro cosa li ha segnati alla fine del soggiorno con noi. C’è un desiderio spirituale così profondo in tanti giovani! Saremo in grado di ascoltare sempre di più le loro domande e le loro aspirazioni?
Tornerei alla parola di frère Roger: fiducia! La fiducia nel futuro mi sembra essenziale. Non chiudiamoci nella paura! Non cediamo all’isolamento, né a livello personale, né a livello delle nostre comunità, delle nostre Chiese, dei nostri Paesi o continenti. Lasciamo che la speranza sia il nostro orizzonte, la speranza che il male non abbia l’ultima parola. Come cristiano, credo nella vita eterna, ma essa inizia adesso, e dopo la nostra morte Cristo ci accoglierà nella pienezza della vita.
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