In dialogo con frère Alois di Taizé

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Da laico nella città. Rubrica a cura di Daniele Rocchetti

Nei mesi scorsi la comunità ecumenica di Taizè ha annunciato che il prossimo 3 dicembre, prima domenica d’Avvento, l’incarico di priore passerà da frère Alois, cattolico tedesco originario della Svevia, a frère Matthew, anglicano inglese, entrato in comunità il 10 novembre del 1986. Frère Alois era succeduto il 16 agosto del 2005 al fondatore di Taizè, frère Roger, ucciso durante la preghiera della sera

Cosa le ha fatto maturare la scelta di “consegnare” l’incarico di priore a frère Matthew? Ci sono delle ragioni particolari per questa decisione che lei ha dichiarato di aver preso senza essere costretto “da una situazione di urgenza”?

Ne parliamo in comunità ormai da due anni. In un momento di tanti e così profondi cambiamenti nella Chiesa e nella società, mi è sembrato che dovessimo riflettere insieme su questa domanda: non è giunto forse il momento per la nostra comunità di vivere una nuova tappa, con un nuovo fratello come priore? Inoltre, abbiamo tra noi una quindicina di fratelli non hanno mai conosciuto frère Roger, e questo è un segno che stiamo vivendo un nuovo periodo nella nostra vita di comunità. Ha ragione quando dice che questo cambiamento sta avvenendo senza essere condizionato da una particolare urgenza. Nella nostra vita comunitaria, il ministero del priore non ha né un limite di età né un limite di tempo. Proprio per questo mi sono preso il tempo necessario per preparare questa transizione. Vorrei aggiungere che mi ha commosso dopo l’annuncio ricevere tanti messaggi ed espressioni di amicizia, che dimostrano un vero attaccamento alla nostra comunità.

Per diciotto anni è stato a servizio dell’unità dentro la comunità di Taizé. Quali sono state le sfide che l’hanno vista più coinvolta? Quali sono state le fatiche maggiori e le benedizioni?

Mi sembra giusto parlare di un “servizio dell’unità”. Nel testo dell’esortazione letta in occasione della nostra professione, il priore viene descritto come un “servitore della comunione”. Questo vale innanzitutto per la comunione tra di noi come comunità ma indica anche quanto la nostra testimonianza di fronte agli altri voglia rappresentare una piccola “parabola di comunione”.  Posso davvero dire che questi anni di servizio come priore della comunità sono stati un’esperienza incredibile. Sono particolarmente felice che abbiamo potuto vivere una tranquilla continuità con l’eredità viva di frère Roger. Naturalmente, le sue intuizioni fondanti devono essere adattate al contesto odierno, come sarà necessario farlo ancora in futuro. Tra le benedizioni più grandi, metterei al primo posto la vita comunitaria tra di noi, i fratelli, e poi l’ascolto dei giovani e il dialogo con loro, sia sulle questioni personali che li riguardano che sulle grandi sfide del presente. La prova della pandemia e le sue numerose conseguenze hanno segnato gli ultimi anni, così come l’aumento dei pericoli ecologici che preoccupano e mobilitano tanti giovani che ci visitano, e ora la tragedia della guerra che sta colpendo l’Ucraina e il Medio Oriente. Di fronte a tutte queste crisi, è essenziale ascoltare ciò che stanno vivendo i nostri contemporanei: a Taizé non vogliamo vivere la nostra vita fraterna tagliati fuori dal mondo, ma coniugare preghiera e solidarietà con chi soffre.

Nel suo ministero ha dovuto fare i conti anche con situazioni di abuso che hanno riguardato fratelli della comunità. Cosa ha voluto dire per lei mettersi in ascolto delle vittime?

Sì, questa è stata senza dubbio la prova più grande della mia missione di priore: lo sforzo di verità che abbiamo intrapreso in seguito alle testimonianze di persone vittime di violenza sessuale o di abusi spirituali da parte di fratelli della comunità. Ogni giorno penso a queste vittime nelle mie preghiere. Alcune di loro hanno tenuto per sé questa sofferenza per tre decenni… Vorrei ribadire quanto siano state decisive le loro parole per farci conoscere il male che hanno subito, e quanto siamo impegnati oggi a fare tutto il possibile per rendere Taizé un luogo sicuro per tutti.

Lei è cattolico, il nuovo priore è di confessione anglicana. Una scelta che conferma la specificità di Taizé. Cosa vuol dire vivere oggi l’impegno ecumenico?

E’ vero, molte persone sono state colpite da questo al momento dell’annuncio del cambio di priore: frère Roger proveniva dalla tradizione riformata, io sono cresciuto in una famiglia cattolica e frère Matthew è anglicano di origine. È un richiamo alla vocazione ecumenica che sta al cuore della nostra identità di comunità. Mi sembra che oggi possiamo cercare di fare sempre di più, insieme a cristiani di diverse confessioni. 

Negli anni in cui ha svolto il servizio di priore molte cose sono cambiate, nella Chiesa come nel mondo. Per un numero crescente di giovani, la Chiesa sembra apparire una realtà sempre più astratta. Quali sfide vengono poste alla Chiesa perché sia sempre più autentica?

Negli ultimi mesi abbiamo riflettuto con i giovani a Taizé su come coinvolgerli nella riflessione in corso nella Chiesa cattolica. È stato ovviamente necessario uno sforzo di traduzione, perché l’espressione “sinodalità” non diceva loro  molto. Ma ci sono poi state tante idee e riflessioni profonde che sono venute da questi scambi. Questa mi sembra la prima sfida: che la Chiesa sia sempre più attenta alle giovani generazioni. Non si tratta solo di evangelizzare i giovani, ma anche di lasciarsi evangelizzare da loro, scoprendo le magnifiche risorse di tanti giovani che si impegnano per gli altri in nome della loro fede in Cristo.

Taizé, a distanza di più di ottant’anni dalla sua fondazione, resta un “laboratorio” singolare fatto di ascolto, di silenzio, di preghiera. Dimensioni che sembrano mancare oggi nel nostro contesto culturale e nelle comunità…

Mi piace che lei abbia citato l’ascolto, il silenzio e la preghiera come tratti distintivi della nostra esperienza a Taizé. Queste sono le parole che spesso sento dai giovani quando chiedo loro cosa li ha segnati alla fine del soggiorno con noi. C’è un desiderio spirituale così profondo in tanti giovani! Saremo in grado di ascoltare sempre di più le loro domande e le loro aspirazioni?

Se dovesse raccontare all’uomo di oggi cosa è l’essenziale cosa direbbe?

Tornerei alla parola di frère Roger: fiducia! La fiducia nel futuro mi sembra essenziale. Non chiudiamoci nella paura! Non cediamo all’isolamento, né a livello personale, né a livello delle nostre comunità, delle nostre Chiese, dei nostri Paesi o continenti. Lasciamo che la speranza sia il nostro orizzonte, la speranza che il male non abbia l’ultima parola. Come cristiano, credo nella vita eterna, ma essa inizia adesso, e dopo la nostra morte Cristo ci accoglierà nella pienezza della vita.

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