
Beata Speranza/La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato (V.Havel)
C’era un gran silenzio nella valle la notte scorsa. Finalmente verrebbe da dire. Il rumore di fondo di fabbriche, automobili, centrali, aerei si era placato.
Anche le luci sembravano meno invadenti, meno diffuse e intense e il buio aveva la sua parte invitando ad una certa intimità e attesa.
Già oggi tutto è ricominciato. Bisogna ripartire, correre, produrre, consumare. Andare chissà dove. Già.
Spinti da una volontà di potenza che ogni volta ci dà l’ebrezza di esistere, tutti protesi ad adempiere un compito di affermazione di sé che non conosce più alcun confine di senso. Come palloni che si gonfiano o criceti che corrono in gabbia su una ruota.
Ripartire. Già, ma per andare dove?
Come se vivere fosse correre sempre più velocemente, vincere e con-vincere, riempire e riempirsi, agitarsi. Sempre in preda all’ansia di non essere all’altezza delle situazioni, di essere perfetti. In una sorta di anestesia continua, immunizzati da ogni sentimento, pensiero, incontro, che possa disturbare i nostri obiettivi o il nostro presunto confort.
Ma gli obiettivi e il confort non bastano mai, non possono bastare mai a rendere accettabile la nostra imperfezione radicale.
Il nostro essere esseri umani, sospesi tra il nulla e l’infinito. Il nostro essere mortali. Il nostro essere “mancanza d’essere”.
Eppure l’altra sera Il silenzio invitava a intraprendere un’altra via. Madre di ogni parola e di ogni azione. Non rimuovere il tempo che stiamo vivendo, non ridurlo ad una parentesi in attesa di “ripartire”.
La speranza non nasce dalla rimozione. La speranza abita il silenzio, la solitudine, l’immobilità, il vuoto, la fragilità, il buio, l’impossibilità. Non si tratta di contrapporsi ma di attraversare. Qualsiasi progetto di ricostruzione e ricominciamento che non poggi su questo attraversamento che richiede trasformazione interiore sarà destinato a oscurare la speranza, ricacciandoci in mondi illusori.
Dove rincorreremo il “funzionamento perfetto”, la “certezza assoluta”, la “sicurezza garantita”. Un mondo orrendo, un mondo di zombi funzionali e instupiditi. Con una esistenza ridotta ad una rincorsa di confortevoli banalità.
Il male è banale. Non sta nel dramma che stiamo vivendo, si annida nella trasformazione del dramma in tragedia o peggio ancora in farsa. Tragedia e farsa senza senso. Mentre la speranza è la consapevolezza che ciò che stiamo facendo ha un senso: per noi, per gli altri, persino per il cosmo e per Dio.
Il senso è ciò che guida la nostra aspirazione ad essere, ad essere realizzati, amanti della realtà, compiuti nella nostra vocazione umana. La speranza è l’energia divina che lo accompagna.
La Realtà è sempre più ricca di noi, va oltre la nostra consapevolezza. L’essere non si riduce al pensiero e l’essere non esaurisce la realtà. La speranza sostiene questo nostro pellegrinare nell’esistenza, questo respiro della vita. Il senso dirige questo nostro andare, e regala la passione dell’incontro. Solo camminando si apre il cammino. Così ogni nostra vera ripartenza è trasformazione, è nascita anche del mondo, del mondo intero. Siamo “pars pro toto”, non semplicemente “pars in toto”.
Mi tengono così compagnia le parole di un grande maestro e profeta dello scorso secolo, don Primo Mazzolari. Maestro anche di speranza.
La speranza comincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, il fuoco con la prima scintilla, l’amore con il primo sogno.
La speranza è la faccia di Dio, quale si scopre di momento in momento, secondo il volto delle nostre disperazioni. Perché tutte le speranze, anche le più tenui, le più fragili, persino i sogni e le illusioni, appartengono alla speranza.
Un niente basta a far battere il cuore, come un niente lo può fermare. E se un niente può fermarci sull’abisso, la speranza fa suo questo niente; vi si incarna, ne prende il volto e la voce.
La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne non vedono che il seme che marcisce.