Una vita nascosta è il titolo del film – dalla durata di tre ore – presentato a Cannes nel maggio del 2019 dove ha vinto il Premio della Giuria ecumenica. E’ arrivato nelle sale italiane dopo la prima ondata della pandemia e ora è disponibile presso alcune piattaforme online. Un film assolutamente da vedere, che rende finalmente merito e fa conoscere al grande pubblico un uomo
che ha affrontato l’intero Terzo Reich a mani nude. Con la sua educazione elementare e la sua semplice devozione capì le cose più di tanti politici” (Claudio Magris).
Nel marzo del 1938 i vescovi austriaci pubblicano una lettera che verrà letta in tutte le chiese nella quale oltre a lodare il nazionalsocialismo invitano i cattolici a votare a favore dell’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Sarà un plebiscito: il 99,08% degli austriaci si dichiara favorevole. Franz Jägerstätter è l’unico di Sankt Radegund, il piccolo paese dove abita, al confine con la Germania, di poco più di cinquecento abitanti, a votare no.
Dopo l’annessione dell’Austria rifiuta, benché padre di tre figlie, qualsiasi forma di collaborazione con il regime nazista, costi quel che costi. Lo fa in nome del primato della coscienza e della Bibbia che, insieme alla moglie Franziska, ha imparato a leggere e a meditare ogni giorno. Ed è in nome della fede che, nonostante l’incomprensione dei suoi paesani, tutti cattolici, sostiene apertamente di non poter essere contemporaneamente cristiano e nazista.
Trasferito in carcere, sarà processato e condannato a morte. Il 9 agosto 1943 viene decapitato sul patibolo. Il sacerdote Albert Jochmann, che lo accompagna, subito dopo l’esecuzione dichiara: «Oggi ho incontrato l’unico santo della mia vita». Sarà papa Benedetto XVI a volere la sua beatificazione che avverrà a Linz, alla presenza della moglie Franziska, il 26 ottobre 2007.
Come dice la Petitio:
Franz Jägerstätter per la decisa condotta della sua vita e per il suo martirio è un profeta dalla visione lungimirante e profonda. È un esempio della fedeltà alle istanze della coscienza, un peroratore della causa della non violenza e della pace, un monito vivente di fronte a ideologie distruttive. Attraverso una coscienza formata e generosa pronunciò un “no” deciso all’idolatria del nazionalsocialismo. Come testimone delle beatitudini evangeliche fornisce un volto alla Buona Novella dell’amore di Dio e del prossimo.
Franz può essere definito come un “resistente” al nazismo, un semplice contadino che rappresenta uno dei pochissimi testimoni che in terra tedesca, abbia osato opporsi al regime hitleriano. La sua è una storia non “etichettabile”, vissuta in totale solitudine, del tutto staccata da qualsiasi movimento di opposizione interna al nazismo. La scelta e la vita di Franz sono riferibili ad una radicalità evangelica che non ammette repliche, anzi provoca ed interroga.
Non è senza significato che il suo parroco Josef Karobath, dopo la discussione decisiva nel 1943, pochi giorni prima della chiamata all’arruolamento, abbia scritto: ”Mi ha lasciato ammutolito, perché aveva le argomentazioni migliori. Lo volevamo far desistere ma ci ha sempre sconfitti citando le Scritture”.
In Franz c’è una serenità, anche se mediata e sofferta, di adesione al pieno significato del messaggio evangelico: in lui la coerenza diventa fattore distintivo, non per preconcetti ideologici o per un astratto pacifismo, ma perché si lascia condurre dalla concreta e vissuta adesione ai valori, ai significati, alle esigenze di ciò in cui crede (Girardi).
Nella vicenda umana e religiosa di Franz Jägerstätter emerge con forza – come ben sottolinea Francesco Comina (Solo contro Hitler, Emi 2021) il primato della coscienza, vero faro per il comportamento di un semplice laico cristiano. Senza eccedere a posizioni eterodosse, Franz si pone in fermo ascolto di ciò che “gli sembra giusto”. Lo fa con enorme sofferenza, perché deve andare contro ciò che ha di più caro, la famiglia, contro molti pastori della Chiesa, contro i suoi concittadini, di cui “sente” la disapprovazione, lui a cui era stato chiesto di diventare sindaco.
Il suo ascolto non è improvvisato. Franz studia la Bibbia, legge i documenti della Chiesa, si confronta con persone di cui ha fiducia, prega molto, medita, digiuna. Si sottopone ad un percorso di formazione della coscienza, pur nelle condizioni proibitive di quegli anni. L’atteggiamento etico di Franz fa leva sulle “cose ultime”, le cerca e le desidera. Non le pone sullo sfondo del proprio agire, ma le fa diventare determinanti per decisioni e comportamenti.
Anche davanti alla moglie, nei 20 minuti di colloquio concesso in carcere, a Berlino, poche settimane prima dell’epilogo, ricorda che ciò che li attende è il Cielo e “chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me” (Mt 10,37). La testimonianza di Franz si fonda su un altissimo senso della dignità della persona e sull’importanza della responsabilità individuale anche di fronte alle scelte collettive.
Essa ricorda inoltre il sacrificio di coloro che hanno lottato contro le barbarie dei regimi totalitari. Come ha detto papa Benedetto XVI nella sua visita nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, quando aveva ricordato quanti nella Germania di Hitler si erano opposti al regime nazista ed erano considerati allora come “il rifiuto della nazione”:
Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: ‘Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto’”.