
Abbiamo ancora bisogno di tempo per comprendere l’eredità di papa Francesco ma c’è tanto per cui essere grati del suo pontificato. Tre cose mi vengono subito in mente. In primo luogo, la disponibilità di papa Francesco ad accogliere tutti, dimostrata soprattutto nella sua attenzione verso coloro che vivono ai margini della società e della Chiesa. Fin dall’inizio ha parlato di “Chiesa in uscita“. Ha vissuto ciò che predicava a questo proposito fino alla fine. La sua ultima visita è stata al carcere di Regina Coeli a Trastevere il Giovedì Santo. Sui gradini di Santa Maria Maggiore, mentre la sua bara entrava, erano i poveri, gli esclusi, a stare in piedi sui gradini dell’ingresso della Basilica.
In secondo luogo, il suo desiderio di lasciare che lo Spirito Santo fosse il protagonista in ogni cosa. Un giorno disse che a Pentecoste, all’inizio, lo Spirito Santo aveva turbato e causato confusione. Solo in seguito è arrivata l’armonia. Credo che questo gli abbia dato una grande libertà di fronte alle opposizioni che a volte incontrava nelle riforme che cercava di attuare nella Chiesa.
In terzo luogo, ciò che è emerso dal Sinodo sulla sinodalità è stato molto importante. Il fatto che Papa Francesco abbia annunciato che il documento finale sarebbe entrato a far parte del Magistero senza alcuna modifica è stato un segnale molto forte, e il fatto che abbia annunciato dal suo letto d’ospedale l’Assemblea ecclesiale 2025-28 per garantire l’attuazione del Sinodo ci aiuterà a progredire nel cammino dell’ascolto e della partecipazione in una Chiesa missionaria dove la voce di tutti e di ciascuno conta.
Ho potuto salutare informalmente il cardinale Prevost dopo i funerali di papa Francesco e prima ancora l’ho incontrato durante la veglia di preghiera ecumenica “Insieme” nel settembre 2023, poco dopo la sua nomina a cardinale. Sono rimasto colpito dalla sua semplicità e umiltà, dalla disponibilità all’ascolto. I fratelli della nostra comunità sono stati invitati a preparare, per l’anno prossimo, un percorso in Perù con il Servizio di Pastorale Giovanile e, durante la preparazione, ci sono stati molti contatti con gli Agostiniani di quella zona. Avrebbero dovuto pure incontrare il Vescovo Prevost, ma in quel momento era stato chiamato a Roma, quindi l’incontro non ha potuto aver luogo.
Le prime parole di papa Leone sono state molto toccanti. Parlando della pace del Cristo Risorto e in quella prima benedizione urbi et orbi, sono stato profondamente toccato dalla chiamata a essere “una Chiesa sinodale, una Chiesa in cammino, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicina soprattutto a chi soffre”.
Papa Leone ha parlato dell’importanza di camminare mano nella mano per annunciare Cristo oggi. Il suo motto è “In illo uno unum” – In colui che è uno, siamo uno – ispirato da un sermone di sant’Agostino sul Salmo 127. Per me, questi sono segni importanti per la missione condivisa di tutti i battezzati. La benedizione finale alla veglia di preghiera “Insieme”, dove oltre venti diversi leader della Chiesa hanno benedetto l’assemblea insieme a Papa Francesco, è stata un’immagine meravigliosa. È stata un’immagine di riconoscimento reciproco? Spetta ai teologi deciderlo, ma penso che ci sia stato offerto un assaggio dell’unità visibile che già esiste in Cristo. Oseremo dirlo chiaramente?
Il mio augurio è che possa rimanere semplicemente sè stesso, con un orecchio attento a ciò che lo Spirito dice alle Chiese oggi, affinché, come popolo di Dio, possiamo incarnare l’amore con cui Dio ha tanto amato il mondo. Questa è la mia preghiera.