Il popolo era in attesa. Anche oggi il popolo è in attesa. Nel senso che predominano le certezze provvisorie e proprio perché sono provvisorie cresce l’attesa di una certezza definitiva. Tutto fugge. Si cerca qualcosa che resta. Il periodo del Battista ha strane somiglianze con il nostro, da questo punto di vista. La gente sembra non aspettare nulla, così presa dal fascino facile delle cose che incontra ogni giorno. Ma quel fascino facile lascia spazio a un disagio. Sono le crepe dell’incertezza, dei legami fragili, delle irrequietezze del mondo politico, dei prezzi che salgono… tutte cose che fanno nascere le domande.
Il popolo era in attesa. Anche se non sa di cosa, come ai tempi del Battista, il popolo è in attesa. Resta il compito della Chiesa di saper indirizzare nella direzione giusta quelle incerte e indefinite attese. La Chiesa, noi credenti, dovremmo essere capaci di far passare un messaggio positivo: le nostre attese e le nostre incertezze sono la situazione tipica di chi vive in una situazione di chiaroscuro. Il nostro Signore se ne è andato dalla nostra storia e noi lo aspettiamo. Deve tornare.
Il “luogo” tipico dell’attesa non è fuori della vita, ma dentro. Notevole che l’indicazione ricorrente del Battista è quella di fare bene il proprio mestiere. Mentre sta per “scoppiare” la grande novità è necessario fare bene il quotidiano. Spesso il cristiano, più è “impegnato” e più è tentato di vedere la santità “altrove”. Il vangelo di oggi dice, invece, che è santo non chi va verso fantastici “altrove”, ma chi resta dentro il “popolo dell’attesa”, lì dove Dio lo ha chiamato a rispondere alla Parola.