
Quando giudico è perché, anzitutto, ho visto e, poi, ho confrontato quello che ho visto adesso con quello che ho visto in passato o con quello che penso e desidero e da questo confronto nasce il giudizio. In altre parole, il giudizio è, sostanzialmente, mimetico. Bisogna confrontare per giudicare. Ora, Gesù non dice che non si deve emettere nessun giudizio. Sarebbe impossibile, infatti, perché bisognerebbe non vedere. In realtà, Gesù sa molto bene che si deve vedere e che, quindi, è inevitabile giudicare. Soltanto, ci suggerisce una specie di metodologia corretta, ci indica, cioè, come vedere. Ci dice che si deve vedere, anzitutto, la pagliuzza nel proprio occhio. Si deve cominciare da sé. Primo perché è più facile, se lo voglio, essere oggettivo: incomincio a prendere visione di quello che è più visibile: il mio stesso mondo. Incominciando dal mio stesso mondo posso vedere meglio e, soprattutto, posso prendere le misure giuste per giudicare quello che sta all’esterno del mio mondo. Incomincio dal piccolo e dal vicino, per arrivare al vasto e al lontano. E’ una lezione di umiltà.
Mi viene in mante l’esperienza del Narratore della Ricerca di Proust, quando, dovendo scoprire la sorgente della sua gioia al di dentro di sé, si sente inadeguato: “Grave incertezza, ogni volta che lo spirito si sente inferiore a sé stesso; quando il cercatore fa tutt’uno con il paese ignoto dove la ricerca deve aver luogo e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla”. In fondo, partendo da me, scopro l’inadeguatezza del mio bagaglio che spesso non è all’altezza del mio “dentro”. Quindi devo pensare che sarà ancora più inadeguato a scovare la verità del vasto “fuori” che mi circonda. Dovrò fermarmi, soprattutto, di fronte al mistero dell’altro, dei suoi affetti, della sua storia, dell’intero suo mondo.
Ma, soprattutto, il giudizio sull’altro giace sotto la luce della verità evangelica che segna la mia vita e la vita del prossimo. La prima verità che segna la mia vita, infatti, è che ho ricevuto tutto. Soprattutto ho ricevuto ciò che meno mi è dovuto, cioè il perdono. Il dono più grande è l’amore che non merito, la misericordia. Sono la pecora perduta: il pastore è venuto a cercarmi. Quando io giudico male non uso misericordia, cioè non riconosco negli altri ciò che c’è in me. Sono cieco, mi dice Gesù nel vangelo di oggi. Non essendo misericordioso, mi sono tagliato fuori dalla misericordia a mia volta. E sono nelle tenebre: non so più dove andare. Ho tutto, forse, ma non so che cosa farne.