Epifania festa dei cercatori di stelle

Il ritorno dei Magi. Custodire la luce
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“Per un’altra strada”. Epifania. I Magi e noi
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Spunti per rimuginare la Parola a cura di Omar Valsecchi – Epifania

Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode,
ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano:
«Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.
Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo:
«Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono.
Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il Natale esplode

Il Natale è il rinnovarsi della fedeltà di Dio alla vicenda umana e del Suo desiderio di continuare ad abitarla. L’Epifania è manifestazione di come questa presenza fedele e desiderante di Dio si compie e a quali orizzonti ci apre. Epifania è “esplosione” del Natale, nel senso della sua piena dilatazione: un invito a farlo uscire dalle nostre ristrettezze identitarie, folcloristiche e tradizionali. Molte sono le provocazioni con cui la Scrittura, oggi, ci invita ad alzare lo sguardo ed aprirci, estendendo le prospettive della nostra umanità e delle nostre stesse visioni di fede. Nella nascita di Gesù si sono spalancati questi orizzonti inediti per ogni creatura, orizzonti senza restrizioni. Ampi respiri che non vanno soffocati ma riconosciuti, accolti e seguiti.

Il testo di Isaia, proposto dalla liturgia di oggi, afferma: “Alzati, rivestiti di luce… Alza gli occhi intorno e guarda!”

Per te che stai seduto, che ti senti arreso e rassegnato, impotente e scoraggiato; per te che vivi ricoperto dalle tenebre e avvolto nella nebbia, proprio per te c’è una voce che ti scuote: Alzati! È un annuncio di resurrezione per te, per me, per noi; un appello, una responsabilità: tu puoi fare qualcosa!
Non conosciamo la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci e se siamo fedeli al nostro compito arriva al cielo la nostra statura. (Emily Dickinson)

Non stare continuamente a testa bassa, dunque, narcisisticamente avvinghiato nella difesa dei tuoi particolarismi. Guarda intorno, scorgi l’avanzare di un’umanità plurale che ci raggiunge e bussa alle nostre porte: modi diversi di essere uomini e donne su questo pianeta. I nostri occhi sono posti in alto proprio perché possiamo scorgere, aldilà di noi, ciò che ci rappresenta e ci compie. Siamo pensati per la trascendenza.
I nostri sguardi alti però non devono farci dimenticare di avere i piedi ben piantati sulla terra. Sguardi alti sì, ma non distanti né disincarnati. Del resto solo uno sguardo alto, libero e lungimirante offre ai piedi la possibilità di cammini aperti, leggeri e luminosi.
Avremo occhi capaci di scorgere queste traiettorie nuove, nella misura in cui ci riconosceremo abitati dalla nostalgia di Dio. Se ci riconosceremo animati da un cuore che si sente in ricerca, lui stesso segnato da un desiderio di novità.

I Magi viandanti dello spirito

È solo così che si vede la stella: quei Magi videro la stella perché erano in cammino, perché si sentivano in cammino. C’è una stella nella notte che ci indica il cammino, alleniamo lo sguardo, guardiamo altrove se necessario, volgiamo gli occhi al cielo e non sul nostro ombelico. Gli occhi al cielo sono occhi che guardano dentro, cercano di rischiarare i pensieri, fare luce su ciò che c’è dentro di noi per capire da dove viene e dove intende condurci. Non stiamo lì sempre a parlare e lamentarci per quello che non va. Non soffermiamoci troppo dove non ci sentiamo amati, non permettiamo a nessuno di distrarci dall’essenziale.

Lasciamoci piuttosto interrogare e smuovere da quella nostalgia di Dio che ci libera dai retrogradi ripiegamenti sul passato e ci spinge ad uscire dai recinti ideologici che ci inducono a pensare che nulla può cambiare. C’è sempre un Erode di turno che tenta di fermarci, di illuderci, di confonderci e spesso imbrogliarci. Ma sappiamo che quando vive Erode, ci sono anche dei Magi che con la loro ostinazione e con la loro fantasia e autenticità ci portano in salvo. Il cambiamento a cui aneliamo chiede il nostro impegno, il nostro coraggio.

I Magi sono proprio il simbolo di tutte le donne e di tutti gli uomini in cammino, cercatori di stelle e viandanti dello spirito. Un’umanità inquieta, continuamente abitata dalla necessità di spingersi oltre, di stare sulla frontiera e valicare confini (non solo geografici). Il loro desiderio ci raggiunge dall’Oriente, ovvero da un avvenire che ancora ha da sorgere; e non da quanto già abbiamo conosciuto. L’umanità nascente nella carne di Gesù non risiede nei palazzi del potere istituito e nemmeno nel sapere statico e sterile delle religioni. C’è un cercare che è mosso dalla consapevolezza di non sapere e c’è un conoscere che blocca la ricerca.

Questi Magi sono mossi dalla contemplazione di una stella, sono disposti a lasciarsi interrogare da quanto appare nel cielo; sono aperti ai segni nuovi che possono orientare il loro cammino. Si incamminano a partire da una luce aurorale, da un cominciamento ancora incerto ma decisivo. Hanno visto e si sono incamminati. Occhi al cielo e piedi per terra. Sono anime capaci di movimento, osano credere ai loro desideri. Turoldo li descrive così: ”voi siete i santi più nostri, l’anima eterna dell’uomo che cerca”. Proprio perché de-sideranti, sanno di essere mancanti, mendicanti: non possiedono tutto ma si lasciano contagiare dalla meraviglia.

I Magi partono, si muovono, si allontanano da casa. Sanno che non troveranno mai la gioia vera restando nella propria aia a beccare mangime che altri hanno gettato a terra. Sanno che la loro natura è migliorarsi, cambiare, reinventarsi ogni giorno e ogni notte. Non sono stanziali ma nomadi! Tutti abbiamo un cuore che ha bisogno di migrare: come gli uccelli, come il polline e le nuvole…
Mettersi in cammino significa abbandonare la sicurezza dei palazzi e delle certezze per vivere di nuovi inizi. Nutrirsi di domande generative e di attese vere. Non possiamo arrestarci in quello che già vediamo o crediamo di possedere. Quanto sembra essersi affermato, emana già i riverberi anticipatori del tramonto. Invece: “da Oriente!” Dallo sconosciuto. L’uomo inedito che il Dio-bambino di Betlemme ci anticipa, non sta nei modelli e nei sistemi che già abbiamo sperimentato; è in divenire! Il sistema, il potere e tutto ciò che si riferisce ad esso rimane turbato, si rabbuia, si incrina e viene destabilizzato.

Il brillare flebile della stella

Gli Erode e le Gerusalemme odierne si turberanno e crolleranno quando scopriranno che, anche noi, non siamo canne al vento ma abbiamo radici profonde che non gelano e una stella polare fissa e stabile a cui affidarci. Erode ha paura dell’armonia, fugge e si ammala quando incontra una vita capace di camminare sulle acque senza affogare; una vita che sa servirsi della tempesta per liberarsi, che non va in panico e non si agita quando si attraversa il dolore e lo spaesamento.
L’apparire di quella stella, infatti, assume a volte il carattere dell’incertezza. E’ un brillare flebile, sommesso… può anche perdersi nella notte. È qualcosa di aurorale che abita l’oscurità e la attraversa, senza vincerla definitivamente.

Questi sapienti d’oriente continuano a camminare anche quando la stella scompare, non si arrendono. Sanno che capiterà loro anche di sbagliare, ma si rimetteranno in cammino. Sempre! Anche quando tutti direbbero il contrario, loro gettano il cuore oltre lo steccato, oltre il recinto e si muovono liberi e fieri. Non rimangono nella palude e nella melma del potere. Hanno l’arte della pazienza, della fedeltà e della perseveranza. E lo fanno insieme: nella ricerca, nel cammino di fede non si cresce e non si avanza da soli. Nessuno può bastare a se stesso.

La stella, infatti, al loro giungere a Gerusalemme scompare e riappare solo quando se ne allontanano. Per posarsi poi definitivamente sulla nudità di Dio manifesta nella piccolezza umile e fragile del Bambino, in una casa.

È la casa dell’umanità nascente il luogo verso cui la stella, ancora oggi, intende orientarci. L’itinerante sapienza dei Magi conosce il suo conclusivo approdo nel prostrarsi per adorare la vita piccola, vulnerabile e indifesa. Quegli occhi che hanno saputo scorgere la luce della stella nel cielo, ora si scoprono illuminati nel gesto di chinarsi verso la terra. Orientano il loro sguardo e il loro stupore al riconoscimento di un Dio umanissimo. Un Dio che ci illumina dalle profondità del nostro essere terra.

Questa dovrebbe essere la tensione di ogni sapienza. I nostri ‘saperi’ a cosa mirano? Alla difesa e promozione di chi è piccolo, debole e oppresso; oppure alla tutela interessata di chi si mostra potente, realizzato e dominante?

Il ritorno avviene attraverso un’altra strada. L’incontro con quel nuovo volto di Dio nella mangiatoia di Betlemme li cambia, li rende diversi: “altri”. E altra sarà la strada su cui proseguire il cammino. Non più quella della ricerca di segni/stelle nel cielo ma il divenire luce nel segno della prossimità all’umanità minuta e dimenticata. Non più quella di fermarsi nei luoghi del dominio e del prestigio ma l’abitare gli spazi della quotidianità semplice e libera. Non più portando doni che crediamo di avere ma vivendo nella consapevolezza di essere noi dono.

Il bambino nella mangiatoia tutti possiamo trovarlo per ricaricarci e riprendere il viaggio della vita. Egli ci spinge fuori dall’ombra e per un’altra strada ci fa tornare lì dove siamo stati bene. Il bambino nella mangiatoia è Dio che si consegna nudo e inerme; che si fida di noi e si affida. E nella sua piccolezza e semplicità già desidera assicurarci che non ci tradisce. Lui rimane fedele a noi, alle nostre miserie e alle nostre bellezze!

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