Cana, il banchetto, la festa

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Nel vangelo di Giovanni l’inizio a vita pubblica di Gesù inizia con il miracolo strepitoso di Cana.
L’acqua trasformata in vino. Ma non è solo questo. Il racconto è pieno di allusioni simboliche.
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Un racconto disseminato di segni

Il racconto è, modo suo, semplice. Ma Giovanni lo dissemina di allusioni. L’insieme del racconto comunica una convinzione: la festa degli ultimi tempi, quella che doveva vedere l’intervento definitivo di Dio, il suo Regno, è incominciata. Il molto vino è il segno eloquente dell’importanza cruciale dell’evento. 

Poi altre allusioni segnano tutto il racconto. Il vangelo letto inizia con le parole usate di solito dalla liturgia: “In quel tempo…”. Ma nel testo di Giovanni si legge: “il terzo giorno”. Ora, nei primi due capitoli di Giovanni, alcuni hanno fatto notare che si citano sette giorni: quattro nel capitolo primo e tre nel capitolo secondo. È probabile che Giovanni voglia suggerire una impegnativa verità: qui sta rinascendo il mondo, come agli inizi, quando, in sette giorni, è stato creato. È in atto una nuova creazione. 

Altri significati simbolici riguardano Maria. E’ il personaggio-cerniera fra la vecchia e la nuova Alleanza. È lei che favorisce il passaggio dall’una all’altra, aiutata da Gesù stesso che le ricorda che la novità non viene da quello che è stato, ma da quello che sarà: l’”ora” di Gesù, la sua morte-risurrezione. 

Ancora: le anfore. Sono di pietra. Ricordano, forse, che la vecchia legge era scolpita sulla pietra. Sono vuote, servono ai riti ormai sviliti di quella Alleanza ormai finita. Vanno riempite di acqua. Ma è Gesù che rende possibile la novità, l’acqua della Legge diventa vino buonissimo: la novità di Gesù irrompe sull’antica alleanza ormai senza vita. 

Il maestro di tavola è l’antico popolo: vede il vino, lo gusta, lo riconosce come buono, ma non sa riconoscere da dove viene. 

Il servitore discreto della nostra gioia

La nostra fede è festa. Qualcuno ci invita. E siamo invitati insieme con altri. Queste sono le dimensioni tipiche della festa: la chiamata e la condivisione. La festa ci viene donata. Ma come è donata a me, così è donata a tutti. L’invito comune crea una nuova fraternità.

Qualche volta noi credenti diamo l’impressione di dire al Signore: Che bello star qui con te, facciamo tre tende e stiamo qui sul Tabor… Oppure siamo come la Maddalena che ha scoperto, sì, Il risorto, ma vorrebbe abbracciarlo e tenerlo per sé. E invece Gesù scende dal Tabor e va a Gerusalemme e la Maddalena si sente dire: “Non mi trattenere… Ma va dai miei fratelli…”. Noi ci incontriamo con il Signore, siamo invitati alla sua festa, ma la festa che celebriamo con lui è per annunciare che la festa è per tutti.  Siamo gli incaricati di estendere l’invito. 

Nella festa di Cana il protagonista è Gesù, ma nessuno lo sa. Non lo sa colui che dirige la festa e assaggia il vino. Non sappiamo neppure se lo sanno, lì durante il banchetto, i suoi discepoli. Gesù è il servitore discreto della nostra gioia, che rende piena la gioia quando già ne godiamo – quado beviamo il vino più buono -, che ci rende beati anche quando soffriamo – quando il vino manca e la festa rischia di finire. Forse è la situazione che stiamo ancora adesso attraversando, con le nostre ostinate preoccupazioni per le guerre e per le tanti eventi che segnano negativamente il nostro presente. Il Signore c’è anche quando manca il vino. 

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