Dovrei spiegarmi per evitare un’accusa di alto tradimento. Consiglierei un romanzo non solo perché in vacanza è un po’ difficile leggere un libro di Sequeri o di Bertuletti (grandi teologi, peraltro) ma per un motivo che non ha a che fare con mari, monti e sole dell’estate.
Bisogna partire un po’ da lontano. I preti, mediamente, hanno una forte tendenza a moraleggiare. Sentono molto e parlano molto del che cosa non si deve fare e del che cosa, invece, è necessario fare. Anche la Parola di Dio viene spesso citata per dare forza al dovere di fare o di non fare qualcosa.
Il rischio delle ricette preconfezionate. Il Vangelo però non è un ricettario
Il che comporta il vantaggio di far sentire la predica vicino alla vita. Ma lo svantaggio di fornire delle ricette già confezionate più che dei motivi forti perché ognuno decida, in libertà, che cosa è bene fare o non fare. Tra Vangelo e vita la distanza si accorcia. Mentre invece, è bene che quella distanza resti perché il Vangelo non è una ricetta. È soprattutto una bella notizia (è il senso etimologico della parola “vangelo”), un racconto, una storia. Chi parla di vangelo dovrebbe quindi soprattutto, a sua volta, raccontare, riprendere e inventare storie, alludere più che precettare.
Per questo è utile, per un prete che deve predicare, leggere romanzi. Non per farsi la raccolta di belle frasi da citare, ma per coltivare un gusto: il gusto del rilancio narrativo del suo messaggio. Ti racconto e di racconto qualcosa sul racconto. Poi tocca a te, ispirato dal racconto, lasciarti “prendere” dalla necessità di fare, in sintonia con quello che hai sentito raccontare.
Il bel racconto può diventare spunto per “ben fare”
A questo punto mi verrebbe voglia anche di citare qualche titolo. Ma non lo faccio: darei dei precetti su una cosa che dovrebbe precisamente evitare precetti. Allora: liberi di scegliere, per essere liberi di raccontare e diventare grandi ispiratori di decisioni liberamente buone.