E’ l’ultimo giorno dell’anno, la festa che non fa altro che infastidirmi. E mi vanto, con tutti quelli che mi chiedono che cosa faccio stasera, a rispondere che vado a letto presto e che mi dispiace soltanto che i botti di fine anno mi impediranno di dormire. Sono felice che piova. Mi auguro che a mezzanotte diluvi. Scrivo alle 17. Le previsioni del tempo sul mio cellulare prevedono, per la mezzanotte, piogge “consistenti”. Speriamo.
Continuo a pensare a Marco Dell’Oro, l’amico giornalista, amico carissimo. È morto ieri, con il morire dell’anno. Dopodomani faremo il funerale: un funerale al “nascere” del nuovo anno.
Che strano destino quello di Marco, così sospeso fra morte e vita. In qualche modo, era già morto quando era in vita, con l’emorragia che gli aveva spento i legami con la parola, aveva tagliato il suo lavoro di giornalista che era lavoro sulla parola. Poi, il due di gennaio, faremo il funerale e gli augureremo di vivere ora che è morto. Lo possiamo solo sperare, faticosamente: non dipende da noi, ma abbiamo buoni motivi per sperarlo nonostante tutto.
Forse non è un caso che il giorno della morte per un battezzato, nella tradizione cristiana, venga chiamato “dies natalis”, “giorno della nascita”, “giorno natalizio”. Che sia davvero il dies Natalis per Marco.
E’ l’unico augurio che mi interessa. “Il resto è letteratura”, avrebbe detto Verlaine.