
Si continua a parlare dell’omicidio di Luciano Muttoni, il 58enne massacrato, nei giorni scorsi, nella sua abitazione di Ossanesga da un 24enne bergamasco, aiutato da un amico di Monza, coinvolto per l’occasione. L’omicida reo confesso ha spiegato. Il giorno prima dell’omicidio era stato ospitato, con la fidanzata e con un’amica di questa, nella casa del Muttoni (il quale offriva ospitalità casuali a gente che ne faceva richiesta).
Il giorno dopo lo stesso Muttoni aveva accompagnato alla stazione di Ponte san Pietro i tre. “Ho visto che Luciano guardava nello specchietto retrovisore la mia ragazza e la sua amica, come se avesse un interesse, e questa cosa mi ha dato fastidio, anche se lui non l’aveva molestata o altro”.
Dunque, si tratta di un delitto nel quale il desiderio di vendetta e la rivalsa finiscono per essere più importanti della rapina. Ma, leggendo le scarne notizie sui giornali, ci si chiede: rivalsa e vendetta per che cosa? Per uno sguardo. Lo stesso omicida, infatti, ha precisato ai carabinieri che lo hanno interrogato che Muttoni, la ragazza “non l’aveva molestata o altro”.
Ucciso per uno sguardo che può essere improprio e vorace finché si vuole, ma è pur sempre, soltanto, uno sguardo: nessuna molestia da parte di Muttoni. In effetti, uno degli aspetti decisivi della violenza è che, più essa è perfetta, meno è giustificata e più è “esagerata”: la molta violenza viene fatta per poco. Vicende del genere richiamano, ancora una volta, il personaggio inquietante di Lamech, discendente di Caino, con il suo celebre, truce “canto di guerra” che si trova nel libro della Genesi: “Per una ferita ricevuta io ho ucciso un uomo e per una scalfittura un ragazzo. Se Caino dev’essere vendicato sette volte, Lamech lo sarà settantasette volte”. Lamech dice che ha ragione chi si impone con la forza. I rapporti sono violenti e a senso unico: da chi conduce il gioco e vince a chi lo subisce e perde. Lamech non conosce regole, l’unica regola essendo la sua stessa, sfrenata – e squilibrata – volontà di vendetta.
Ora, può apparire finanche troppo pretenzioso paragonare il fattaccio di cronaca nera di Ossanesga con un celebre passaggio biblico. Ma mica tanto. Nel fatto “micro” di casa nostra si ritrova lo stile “macro” di molte violenze, quelle della guerra, soprattutto. La guerra di Troia dura dieci anni e scoppia perché Paride ha rapito Elena, la bellissima moglie di Menelao, re di Sparta. E quel racconto è diventato mitico perché ha raccontato ciò che continuiamo a raccontare.
Semmai, c’è da aggiungere che lo sguardo del povero Muttoni, caricato di così straordinaria gravità, si spiega, in piccolissima parte, con il ruolo esorbitante che lo sguardo occupa nella nostra cultura. Se è vero che l’”apparire” è decisivo nei nostri rapporti, è vero anche che guardare è altrettanto decisivo: si appare per essere guardati, evidentemente.
Forse è per questo che si è parlato tanto dell’uccisione di Luciano Muttoni. Ci si è accorti che il fatto non riguarda solo Muttoni e neppure soltanto Ossanesga.