
Israele vuole ostinatamente essere uno Stato, e lo è, e vuole essere uno Stato democratico, e lo è. Perciò per non rinnegare questo suo diritto, deve accettare anche il dovere di agire da Stato. Sempre. Anche quando subisce attacchi ingiusti, la sua reazione non deve contraddire la sua natura di Stato. Non può quindi sospendere né il diritto umano né il diritto internazionale, anche se è stato vittima di disumanità. Perciò potrà sì perseguire il crimine patito, ma senza compiere atti criminosi contro il diritto degli Stati (attacchi a istituzioni statuali garantite) e senza varcare la soglia della proporzionalità.
Deve perseguire i colpevoli, ma solo i colpevoli, senza colpire indiscriminatamente, senza accettare tranquillamente di ammazzare un numero enorme di innocenti per colpire anche i colpevoli. Altrimenti si rischia di colpire il popolo dei colpevoli, e quindi si cade in un sottile, ma tragico genocidio. Sono belligeranti o sono rappresentanti di una nazione (di un génos) quei coloni Palestinesi che una bruitale rappresaglia di coloni e di militari israeliani costringe quotidianamente ad abbandonare i propri territori, legalmente posseduti? Si viene insomma ad agire con logica etnica quando, per inseguire Hamas, si annienta una massa di popolo che ha il torto di essere palestinese.
La logica della giustizia d’uno Sato di diritto prevede magari una minore efficacia, ma la custodia del rispetto per lo Stato. Fu lo stesso problema che visse il nostro Stato col terrorismo: e giustamente decise di non colpirlo sospendendo le leggi comuni, per mantenere la distinzione tra Stato e briganti. S.Agostino diceva che “se manca la giustizia, che cosa sono gli Stati se non bande di briganti?” (civ.Dei, IV,4).
Hamas non è uno Stato. Uno Stato lo si combatte e lo si vince sottraendogli il territorio, eliminando le armi di fuoco e uccidendo i suoi leader. Ma Hamas non è uno Stato; è un movimento che persegue una idea ossessiva e perversa: eliminare la presenza di Israele in Palestina. Un’idea non ha territorio ma vola sopra, e non si combatte distruggendo edifici materiali (tunnel o magari ospedali) né uccidendone i capi.
In questi casi essa resiste perché si situa nelle menti, non nei sassi; e spesso nella persecuzione dei suoi membri si ingagliardisce. Un’idea si combatte radicalmente solo togliendo consenso alla sua ragione sociale: cioè dimostrando che invece è possibile che in uno Stato partecipato convivano insieme Israele e Ismaele, Ebrei e Palestinesi, senza che Ismaele venga cacciato di nuovo nel deserto di sabbia (si legga Genesi 21) o nell’oasi, sempre più angusta, dell’apartheid. Solo in questo modo si sconfiggerà veramente Hamas.
Nel 1923, all’ingresso in Europa del totalitarismo che avrebbe prodotto l’olocausto, in Italia il grande storico dell’antichità, Gaetano De Sanctis, un cattolico che poi si rifiuterà di prestare giuramento fascista (accettando di subire discriminazioni sociali ed economiche fino allo stato di povertà), scriveva una dedica alla sua grande Storia dei Romani: “A quei pochissimi che hanno parimenti a sdegno d’essere oppressi e di farsi oppressori”.
Successivamente il popolo ebraico fu veramente oppresso in termini radicali. Come può ora lo Stato di Israele aver dimenticato che il suo popolo è stato oppresso (ben più che in Egitto) e si faccia ora oppressore? Non dovrebbe aver occhi e memoria per riconoscere sotto una diversità del rivestimento formale, una vicinanza di fatto tra quei due genocidi?
Per questo rivendichiamo il diritto di esprimere la nostra critica che vuole avere la forma biblica della lamentazione, proprio perché è intrisa di rammarico.
E respimngiamo qualsiasi accusa di antisemitismo.
Tanto più che per noi, che ci diciamo cristiani, Israele resta un popolo col quale il Dio che è anche il nostro ha stretto alleanza: e non ci risulta che l’abbia ancora ritrattata.