Le elezioni europee. Intervista a Nando Pagnoncelli

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Il mondo complicato nel quale siamo chiamati a vivere la nostra storia chiede uno sforzo continuo di comprensione che aumenta con il passare del tempo.

Per “capire” meglio sentiamo il bisogno di gente che ci accompagni in questa lettura necessaria e difficile.

A partire da oggi due nomi illustri della cultura della nostra città ci aiuteranno.

Sono FRANCO PIZZOLATO e NANDO PAGNONCELLI.

Pizzolato è stato docente di Letteratura cristiana antica all’Università Cattolica di Milano, successore di Lazzati. Attualmente è impegnato nello studio della figura gigantesca della nostra storia e della storia della Chiesa, Papa Giovanni.
Pagnoncelli è stato amministratore delegato di Ipsos Italia ed è uno dei maggiori sondaggisti in Italia. Collabora a trasmissioni televisive e a importanti testate giornalistiche.

A cadenze mediamente settimanali si alterneranno con scritti propri o interviste esclusive sul nostro blog.
Siamo orgogliosi di ospitarli e li ringraziamo per avere accettato di collaborare.

Alberto Carrara
Daniele Rocchetti

Avvicinandosi le elezioni europee del prossimo mese di giugno, si ha l’impressione che – almeno dalle parti nostre, in Italia – prevalga tra i cittadini un atteggiamento abbastanza distratto, scarsamente coinvolto. Abbiamo chiesto al  ricercatore Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia, di confermare o smentire questa nostra impressione.  

«Il livello di attenzione – risponde Pagnoncelli – è decisamente modesto. Questo dipende, da un lato, da cambiamenti importanti, registrati negli ultimi anni, nell’atteggiamento degli elettori: il 27%, alle ultime elezioni politiche, aveva deciso per chi votare negli ultimi dieci giorni prima della scadenza, e tra costoro alcuni hanno poi dichiarato di aver deciso quando già era nella cabina elettorale. La dimensione politica costituisce ormai un frammento, e nemmeno il più importante, dell’identità personale».

Le appartenenze partitiche si sono molto affievolite?

«Io direi che la stessa categoria dell’“appartenenza” costituisce poco più che un reperto del passato. Prevale oggi il sentimento di una distanza tra la sfera politica e la vita quotidiana: ecco perché la scelta relativa al voto viene tendenzialmente rinviata all’ultima fase della campagna elettorale. A questo aspetto, che potremmo definire “strutturale”, va aggiunto che solitamente le elezioni europee suscitano meno interesse rispetto a quelle nazionali. Citerei poi un terzo elemento, che però non mi sembra meno rilevante».

Di che cosa si tratta?

«Attualmente, in Italia, il dibattito è incentrato solamente su temi di politica interna. Si sta preparando una competizione di tutti contro tutti, dato il sistema proporzionale, con una soglia di sbarramento al 4%: anche i partiti alleati all’interno della coalizione di maggioranza – quella che governa il Paese – sono in gara tra loro. Analizzando i flussi elettorali, notiamo come la Lega sia fortemente “minacciata” da Fratelli d’Italia, che già nel 2022 aveva eroso una quota rilevante (38,4%) dell’elettorato del partito di Matteo Salvini».

Proprio la Lega era stata innegabilmente il partito vincitore nelle precedenti elezioni europee, quelle del 2019.

«Certo, con più di 9 milioni di voti, il 34,6 % del totale. Questo bacino elettorale si è però rapidamente prosciugato: alle politiche del 2022 i voti sono stati meno di 2 milioni e mezzo. Il resto, a grande maggioranza, ha scelto di votare per Fratelli d’Italia. Questi spostamenti di voti in entrata e in uscita fanno sì che la tornata elettorale delle europee, anziché offrire l’occasione per proporre un’idea di Europa sostanzialmente condivisa all’interno delle coalizioni, spinga ad accentuare elementi di differenziazione tra i singoli partiti. In questa iper-competizione la grande assente è appunto l’Europa».

Le possibili candidature dei leader di partito eserciteranno un appeal sugli elettori?

«Al di là del fatto che nessuno si è ancora pronunciato ufficialmente sull’eventualità di candidarsi come capolista in questa o in quella circoscrizione, si discute però del “peso” che potrebbero effettivamente avere alle europee le candidature dei leader nazionali. Io conduco ricerche demoscopiche da quarant’anni: ebbene, sono convinto che sia impossibile misurare a priori i possibili effetti di tali candidature. Facciamo due esempi opposti, giusto per par condicio: se in tutte le circoscrizioni si candidassero Giorgia Meloni da un lato, Elly Schlein dall’altro, come si potrebbe misurare un ipotetico “valore aggiunto”? L’elettorato che si riconosce in Fratelli d’Italia voterà di conseguenza, indipendentemente dalla presenza in lista della Meloni; simmetricamente, lo stesso ragionamento vale per gli elettori PD». 

Se si pone una domanda in merito a un campione di elettori meno “orientati”, il risultato è comunque poco attendibile?

«Sì, perché c’è chi vuole evitare di fare la figura dell’ingenuo, ammettendo pubblicamente che potrebbe votare una lista per il fascino esercitato da un nome famoso. Magari lo farà, ma nel corso del sondaggio non lo dichiara. Sullo sfondo, rimane un fatto: diversi leader nazionali sembrano intenzionati a candidarsi alle europee per ragioni “di bandiera”, ma hanno già preannunciato che non lasceranno il loro posto nel Parlamento italiano. Ho difficoltà a immaginare che la Meloni possa approdare al Parlamento europeo rinunciando al ruolo di Presidente del Consiglio in Italia. Questo è un ulteriore elemento che rende difficile o impossibile, a livello metodologico, stimare quanti voti possa portare la candidatura di un leader di partito».

Alcuni temi recentemente evocati anche in una chiave un po’ folclorica nella politica italiana – dal principio della «sovranità alimentare» alla lotta contro la «carne sintetica» e la «farina di grilli» – esercitano davvero una presa sull’elettorato? O si riducono a un vago «rumore di fondo», senza effetti di rilievo?

«Nel momento attuale, sono un rumore di fondo. Ormai da diverso tempo, i temi a cui gli elettori sono più sensibili sono quelli riguardanti l’economia. Dopo trent’anni, è tornata in scena l’inflazione, suscitando preoccupazione tra i cittadini, una parte dei quali davvero fatica a far quadrare i conti. Un altro tema, quasi automaticamente associato all’andamento dell’economia, è quello occupazionale, con un paradosso: nel momento presente, si registra il minor tasso di disoccupazione da diversi anni». 

Teoricamente, la questione occupazionale non dovrebbe essere avvertita come prioritaria.

«L’opinione pubblica, però, non procede sempre in linea retta. Se la situazione dell’economia è percepita come preoccupante, si attiva un riflesso quasi condizionato, del tipo: “Se l’economia va male, anche il mio posto di lavoro potrebbe presto essere a rischio”. Poi, sono avvertiti anche i temi relativi alla protezione sociale, in senso ampio: in una situazione di incertezza, dovuta anche ai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, è normale che si diffonda una richiesta di questo tipo. Altri temi, di natura maggiormente simbolica, non mi sembrano ora come ora in grado di attrarre un consenso elevato».

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